PROGRAMMAZIONE CONCLUSA
Un film di Ken Loach. Con Kris Hitchen, Debbie Honeywood, Rhys Stone, Katie Proctor, Ross Brewster.
Titolo originale id.. Drammatico, durata 101 min, colore - Gran Bretagna, Francia, Belgio, 2019 - Lucky Red.

Sorry We Missed You.  Presentato in concorso alla 72esima edizione del Festival di CannesDopo il successo di Io, Daniel Blake, il regista torna dietro la macchina da presa per raccontare lo sfruttamento del lavoro nel Regno Unito.

Newcastle. Ricky e la sua famiglia combattono contro i debiti dopo il crack finanziario del 2008. Una nuova opportunità appare all’orizzonte grazie a un furgone nuovo che offre a Ricky la possibilità di lavorare come corriere per una ditta in franchise. Si tratta di un lavoro duro, ma quello della moglie come badante non è da meno. L’unità familiare è forte ma quando entrambi prendono strade diverse tutto sembra andare verso un inevitabile punto di rottura.

Quella ritratta da Ken Loach è una realtà formata da persone che nel non voler comparire denunciano implicitamente la condizione di precarietà in cui operano. Ci sarà probabilmente chi affermerà che siamo di fronte all’ennesimo comizio di un regista che non ha mai nascosto da quale parte batte il suo cuore. Bene, se questo è un comizio lo erano anche, sul piano letterario, “I miserabili” di Victor Hugo o l'”Oliver Twist” di Charles Dickens (solo per fare un esempio).

Loach non scrive romanzi, dirige film ma lo fa con la stessa passione e anche, perché no, con la stessa forma di indignazione. Non si tratta mai con lui di pauperismo, di commiserazione e tantomeno di populismo. A un certo punto del film c’è una reazione verbale da parte di uno dei protagonisti che, se non fosse che al cinema ci si comporta diversamente che a teatro, spingerebbe all’applauso. In quel momento ti accorgi di come Loach abbia saputo leggere non solo nella psicologia dei personaggi (che nel suo cinema sono sempre ‘persone’) ma pure in quella dello spettatore.

Anche sul piano più strettamente cinematografico il suo si presenta come un lavoro tanto partecipe quanto accurato. L’apparente semplicità del suo modo di riprendere richiede un gran lavoro con gli interpreti e fa costantemente leva sulle sue doti di documentarista capace di trasferire la realtà nel cinema di finzione. Si osservino i dialoghi a tavola in famiglia e ci si accorgerà di come vengano portati sullo schermo con la naturalezza di una candid camera. Perché Loach ad ogni film ci chiede non solo di guardare quanto accade seduti sulla nostra comoda poltrona ma di condividere i disagi e le problematiche che ci propone. Ci chiede di confrontarci con quella ‘normalità’ feroce che oggi, come ai tempi della rivoluzione industriale ma con più sofisticata e globalizzata malizia, il dio mercato impone.

Abby, Ricky, Seb e Liza Jane non sono supereroi, non hanno nulla di straordinario nelle loro vite. Sono semplicemente una famiglia, con le proprie difficoltà e con una unità che si vorrebbe far vacillare. Al di là dei proclami retrogradi o interessati di cui la parola ‘famiglia’ viene sempre più spesso fatta oggetto Ken Loach ci ricorda che elemento imprescindibile della sua coesione è, oggi più che mai, la dignità del lavoro che troppo spesso viene sistematicamente conculcata. La schiavitù non è stata abolita. Ha solo cambiato nome. Ken e con lui (in tutt’altro ruolo) Francesco non smettono di ricordarcelo.
[Giancarlo Zappoli per mymovies.it]

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