Pietro ha perso il padre e non si interessa più a nulla. Le uniche compagnie gradite sono quelle di Cosmic, bizzarro amico ossessionato dallo spazio, e di Ivan, che ruba candelabri nelle chiese per conto del sordido Ugo. Nel panorama desolante di una provincia no future e spersonalizzante, Germano Maccioni colloca le vicende di tre ragazzi a cui la buona sorte ha da tempo voltato le spalle. Ivan si dà alla delinquenza, per sentirsi più libero del padre, che dal “posto fisso” è stato reso schiavo; Cosmic nasconde il proprio ritardo mentale sognando asteroidi filosofici e guardando le stelle; Pietro, infine, ha perso il sorriso quando il padre si è tolto la vita.
Non è una novità che il cinema italiano di questo secondo decennio di terzo millennio dedichi la propria attenzione alla provincia e a come il disagio dei giovani che la abitano si faccia insostenibile.
Teatro delle azioni di Pietro, Ivan e Cosmic è l’Emilia-Romagna postindustriale, in cui della gloria operaia che fu restano solo brandelli e detriti, quel poco che è sfuggito alla furia distruttrice della globalizzazione galoppante. Insegne del Pci che non si accendono, o fabbriche di cialde, che del caffè e dell'”italianità” conservano giusto il profumo. Le generazioni dei padri venerano il posto di lavoro anche se ne sono stati schiavi, mentre quelle dei figli non sanno cosa farsene, vista l’assenza di prospettive.