Altalena

Parterre d'eccezione per una serata dedicata al cinema made in Grifop

Altalena

Sul palco del Postmod salgono in quattro. I registi, Stefano Ceccarelli e Gabriele Anastasio e gli interpreti, Giulia Zeetti e Sandro Mabellini. Le due coppie di pesi specifici che muovono l’Altalena, la fanno oscillare, in un costante andirivieni tra vita e morte. Perché Altalena è il racconto di un viaggio verso il grande nulla che una donna malata decide di intraprendere per sentirsi ancora padrona del proprio destino. Lei, ‘Giulia’ anche nel film, porta con sé un fido scudiero, ‘Sandro’, che accetta di scortarla fino all’ultimo metro. “Il messaggio è molto semplice”, racconta Ceccarelli “e ha a che fare col diritto, per noi inalienabile, di poter decidere della propria vita. Perché anche la morte torni a essere vista per quello che è: un passaggio naturale”. Un racconto on-the-road che parte proprio da Perugia e dopo aver attraversato l’Umbria, essersi mosso in equilibrio sulle creste dei Sibillini, finisce in Sardegna, a Cala Grande, in un luogo antico e metafisico dove si può pensare di scomparire nuotando per l’eternità.
Racconto in bianco e nero che Anastasio giustifica così: “I nostri riferimenti sono nel cinema italiano delle origini, risaliamo sempre al Neorealismo. Il mio immaginario si è abbeverato a quelle immagini. Nel momento in cui abbiamo avuto la storia sapevamo che l’avremmo raccontata usando questo filtro. Un filtro che ci ha tolto ogni distrazione, andando direttamente al cuore delle cose”. Ed è vero, perché Altalena palpita di sentimenti forti, molto spesso contrastanti, con la camera sempre stretta sui corpi e i volti dei protagonisti, restituendo un universo cristallino, dove le decisioni difficili e i momenti di incertezza si sciolgono nella natura circostante, che osserva e accompagna i viaggiatori.
“Né io né Sandro sapevamo dove ci avrebbe portato la sceneggiatura”, racconta Giulia Zeetti “il film è stato girato cronologicamente e letteralmente, ogni mattina, finivamo sul set senza conoscere fino in fondo il destino dei nostri personaggi. Questo ha reso tutto molto più vero ed emotivamente trascinante”.
“Per me che nella vita faccio il regista teatrale l’esperienza di essere guidato dentro una storia è stata appassionante” ha aggiunto Sandro Mabellini. “Il mio Sandro è un uomo che fatica a tenere in piedi i propri legami sentimentali e che si mette in gioco probabilmente per dimostrare a se stesso di potersi prendere cura degli altri, fino alla fine”.
In sala, tra il pubblico, anche lo sceneggiatore Nicola Pisello e l’autore delle musiche Gianmarco Bozuglu. Quest’ultimo visibilmente emozionato ha raccontato il suo approccio a questo lavoro: “Ho capito che avrei dovuto lavorare in un modo nuovo; sentivo di dovermi mettere in gioco per essere all’altezza delle vite raccontate nel film”.
Tra il pubblico si nomina Almodovar, si cita La stanza accanto, nessun paragone blasfemo,
semplicemente la constatazione di una tematica in comune. I registi sorridono imbarazzati. Qualcuno mormora che Altalena si permette di lasciare molte cose in sospeso, tra parentesi, senza doverle spiegare e dice “per questo mi è piaciuto più del film del maestro spagnolo”. Mentre c’è chi prende la parola per soffermarsi sulla dimensione fantastica del racconto: “Mi sono sentito fuori dalla realtà”, ha spiegato uno spettatore “Sandro era il mio Caronte e tutto mi è sembrato un sogno a occhi aperti. Mi sono lasciato trasportare, ho mollato gli ormeggi”.

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