Ciao bambino al Fuori Post
Edgardo Pistone torna a trovarci con il suo acclamatissimo Ciao Bambino

Edgardo Pistone con Ciao bambino vince il Premio miglior opera prima al Festival del cinema di Roma e il Premio speciale della giuria a Tallinn. Una trama semplice: a Napoli sul finire dell’estate un diciassettenne si innamora di una giovane prostituta. Quando suo padre esce dal carcere dovrà scegliere tra lui e l’amore per la ragazza. Edgardo è del rione Traiano, una parte di città, come spiega, “che non è centro e neppure periferia. Uno spazio fluido, mutevole”.
L’intervista parte con una provocazione. Su Letterbox un utente accusa il film di Pistone di essere un “Mare Fuori in bianco e nero con macchina fissa invece che a spalla…”. La risposta di Edgardo è garbata e ferma: “Mare Fuori mette in scena la violenza, nel mio film la violenza è sempre fuoricampo. Mare Fuori fa della pornografia lo spettacolo; in Ciao bambino si cerca la poesia negli effetti e non si raccontano mai le cause. Io volevo mostrare la bellezza e l’armonia nascosta in alcuni esseri umani e alcuni luoghi. Luoghi che invece, troppo spesso, sembrano la causa stessa di un mondo sbagliato. Siamo in totale antitesi”.
“La scrittura di Ciao bambino è stata molto rapida, quasi disperata. Ricordo di essermi seduto al computer e di aver immaginato un film molto piccolo da farsi sotto casa mia. Inizialmente la storia si sarebbe dovuta sviluppare lungo un arco di molti anni. Poi però la Russia ha invaso l’Ucraina e sul giornale lessi un pezzo che analizzava la denuncia dell’Ocse del rischio di una tratta di esseri umani: molte donne in fuga dal loro Paese venivano avvicinate da predatori che con la promessa di una vita diversa le iniziavano alla vita di strada. Allora ho pensato che sarebbe stato interessante far incontrare il personaggio di Attilio, un ragazzo del mio quartiere, con una giovane sfortunata finita sulle provinciali di Napoli”.
Una storia che nasce anche da un precedente reale e cinematografico. Edgardo Pistone è infatti parente di Davide Bifolco, un giovane diciassettenne ucciso dai carabinieri alcuni anni fa la cui vicenda è narrata da Agostino Ferrente in Selfie nel 2019. I segni di quella tragedia innervano il film come un eco che continua a rimbalzare lungo le strade e le piazze del rione Traiano. “Se Napoli e le sue strade continuano a raccontare le solite storie di disperazione, Ciao bambino tenta invece di mostrare come i luoghi cambino di senso, e modifichino il loro destino, se le persone che li abitano sono capaci di vivere sentimenti nuovi. Lo spiazzo in cui Attilio e Anastasia si conoscono resta un luogo disperato fin tanto che il loro rapporto è freddo e distante; nel momento in cui trovano un punto di contatto, quello stesso spiazzo acquista una possibilità, può essere un luogo di speranza”.
Un film che cerca la trasformazione: le ambientazioni smettono di essere meri spazi urbani, ma si trasformano in luoghi dell’anima, paesaggi interiori. “Da un punto di vista tecnico e formale come abbiamo tradotto questa volontà? Prendiamo la solitudine di Attilio. Per rappresentarla non si poteva che escludere tutto il mondo dal quadro. Per questo tanti spazi vuoti. Per questo quello che è all’esterno, che noi sentiamo, avvertiamo, ma non vediamo, è ricostruito dallo spettatore. Il vuoto tra individui è lì. C’è sempre. Come riempirlo?”.
Ciao bambino è una storia fuori del tempo. Non racconta le generazioni degli adolescenti. Piuttosto prende l’adolescenza e prova a mostrarla per quello che è: una stagione della vita. “Per riuscire a fare questo il racconto doveva essere esistenziale, non certo storico. In questo senso il bianco e nero è stato decisivo perché capace di dare una cornice atemporale. Il bianco e nero può portare armonia nel caos entropico dei quartieri napoletani; ti permette di isolare gli elementi e dargli risalto; ti aiuta a deformare, riscrivere, tradire e tradurre un luogo e la vita che gli ruota intorno”.
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