Duse

Pietro Marcello torna al PostModernissimo per presentare il suo Duse

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Fresco di concorso all’ultimo festival di Venezia, Duse e il suo regista Pietro Marcello arrivano al Postmod. Il regista casertano torna a Perugia quasi dieci anni dopo Bella e perduta, viaggio fantastico – tra documentario e finzione – di un pastore e del suo bufalotto Sarchiapone nel regno dei vivi e dei morti, sotto la guida attenta di Pulcinella. Da quel momento la carriera di Marcello vira decisamente verso la finzione e allora ecco Martin Eden e Le vele scarlatte. Raccontare gli ultimi anni di vita della Divina Eleonora Duse significa aggiungere un nuovo tassello alla galleria di personaggi in rivolta: “Lei è stata questo. Doveva avere un fuoco dentro inestinguibile. Altrimenti non avrebbe potuto imporsi in Italia e nel mondo con quella forza. In un tempo dove le donne dovevano faticare molto più di adesso per emergere. La Duse è stata regista di se stessa, capocomico, interprete e artefice del teatro che portava sul palcoscenico. Il suo stile recitativo è stato una rivoluzione. Eppure è rimasta una donna dell’Ottocento. In totale antitesi con il tempo che si trovò a vivere, quello tra la fine della prima guerra mondiale e l’avvento del Fascismo. Se ho scelto di raccontare i suoi ultimi anni è stato proprio per descrivere questo momento di passaggio: l’avvento del Secolo Breve attraverso gli occhi di un’artista di un’epoca defunta”.

La Duse ha il volto, gli occhi, l’energia di Valeria Bruni Tedeschi, prima e unica scelta di Marcello per il ruolo: “Non c’è mai stato un casting. Per me doveva e non poteva che essere Valeria. E non si è mai trattato di un aspetto estetico. Non mi interessava ricostruire quel corpo femminile, ma piuttosto intercettarne lo spirito”. Un lungo lavoro sulla documentazione e sulle fonti insieme a Letizia Russo e Guido Silei che però Duse poi manipola e talvolta tradisce. “Il tradimento a volte è stato necessario. Come nella scena in cui Mussolini incontra Eleonora e le propone un vitalizio. Tecnicamente quell’incontro, così come lo raccontiamo, non è mai avvenuto, ma era fondamentale metterlo in scena per descrivere il rapporto tra “Arte e Potere” in quel preciso momento storico”.

Anche in Duse Pietro Marcello inserisce l’archivio fondendo finzione e immagini reali e creando un corpo unico molto simile al lavoro recente di Andrea Segre per Berlinguer – La grande ambizione. “Per me il repertorio, l’archivio si pone sempre al di sopra di tutto. Qui, colorizzando le immagini come ho fatto anche in Martin Eden, mostro il viaggio in treno da Aquileia a Roma del milite ignoto. Un materiale di una potenza estetica e simbolica spaventosa. Quel viaggio è rappresentativo del ribaltamento in atto. Il milite ignoto è stato il punto massimo del movimento pacifista alla fine della guerra che in poche battute diventa figura simbolo del Fascismo, di un italico eroismo guerriero lontanissimo dai pianti delle madri in cerca di una sepoltura per i loro ragazzi caduti in battaglia. La Duse e il milite ignoto sono due viaggi paralleli”.

Il cinema che racconta il teatro mentre il cinematografo spinge e si fa largo. In questa triangolazione è anche il fascino di Duse che come un flusso ininterrotto passa dalla vita privata al palcoscenico senza quasi che i suoi personaggi siano capaci di rendersi conto della differenza. Un film sulla morte, sulla fine di un tempo, un film di passaggio: “Originariamente il film si sarebbe dovuto intitolare La traversata proprio a simboleggiare l’attraversamento di un corpo-artista attraverso la brutalità della Storia. In fondo Duse è un film fantasma che investe uno spirito di carnalità, voce ed emozione. Neppure D’Annunzio riesce a tenere testa ad Eleonora. L’uomo che l’aveva sedotta e lo stesso che la accusa di averlo abbandonato. D’altronde questo è il racconto della forza del femminile, che non arretra, che va avanti, in nome di tre imperativi: lavorare, vivere, morire”.

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