Il complotto di Tirana
Manfredi Lucibello presenta il nuovo documentario 'Il complotto di Tirana'

“Le biografie migliori sono quelle inventate”. Parola di Paolo Villaggio. E non è un caso tirarlo in ballo, perché Il complotto di Tirana è, in fin dei conti, una commedia. Lo premette subito Manfredi Lucibello, ospite del postmod giovedì 27, gradito ritorno dopo la comparsata estiva al Barton Park quando aveva parlato del suo film precedente, Non riattaccare, thriller distopico ambientato nel vuoto pandemico e con una Barbara Ronchi one-woman-show tutta nervi e adrenalina.
Ma appunto Il complotto di Tirana, storia vera di una storia falsa, racconto di una truffa d’identità, di un falso Oliviero Toscani che si finge il vero Oliviero Toscani, convince il vero Giancarlo Politi a mettere in piedi una Biennale d’arte a Tirana portando in dote quattro artisti alternativi, scomodi, rivoluzionari, ovviamente tutti falsi anche loro.
“Ho creduto che per raccontare questo F for fake 4.0 dovessi dare al mio documentario la stessa forma dell’argomento e quindi mistificare, giocare col vero/falso. Per questo nei primi venti minuti intervisto un falso Toscani che è Bebo Storti truccato e vestito a puntino. A proposito, quanti di voi ci sono cascati?”. Il pubblico non si muove, poi si alzano timidamente due mani, il resto dell’uditorio è caduto nella trappola.
Lucibello viene a conoscenza di questa storia incredibile grazie a suo papà, che fa l’avvocato e che all’inizio degli anni duemila aveva difeso proprio Toscani nel processo di accertamento della verità della truffa ai suoi danni. “Mio padre da buon professionista non mi aveva mai detto nulla di questa storia. Poi, col reato caduto in prescrizione, ha vuotato il sacco. Io sono caduto dalle nuvole, poi mi sono esaltato al punto di voler fare un film intorno alla storia”.
E Toscani? “Oliviero è scomparso appena un mese fa per via di una malattia fulminante, ma quando girai (nel 2022) era in piena forma e lo ricordo felicissimo di poter dare il suo contributo. La storia lo aveva sconvolto ai tempi, ma ora, a distanza di anni, ne coglieva tutto il potenziale artistico, lo straordinario livello di provocazione. Si sentiva parte di una grande opera d’arte moderna”.
Ma chi c’è dietro al complotto di Tirana? Un altro artista, un genovese, che irrompe a trequarti del film, lo fa deragliare, lo trascina nel suo universo di eteronimi alla Pessoa, di personalità multiple alla Shyamalan (Split). Il suo nome è Marco Lavagetto. “Marco l’ho incontrato per la prima volta di notte, nel suo atelier, lui di mestiere fa l’imbottitore di bare e mi ritrovai immerso in una specie di cimitero potenziale a cielo aperto. Ammetto che mi spaventai, ma la risata trascinante di Marco mi aiutò a rompere il ghiaccio”.
L’arte e la finzione. La vita di Marco Lavagetto interseca quella di Maurizio Cattelan, entrambi artisti per la storica Galleria Neon. Uno dei due realizza banane con lo scotch e vende l’opera per sei milioni di euro; l’altro è caduto nel dimenticatoio. “Potenzialmente la merda può diventare oro, basta conoscere le regole del gioco”, dice a un certo punto Oliviero Toscani. Forse Lavagetto queste regole non le conosce o le ha dimenticate. Certamente il suo scherzo, per il quale non fu mai condannato direttamente (si appurò che le mail della truffa partivano dal suo pc, ma nulla di più), ha saputo toccare vette altissime al punto di spiazzare la sua stessa vittima: “A un certo punto ho creduto di aver mandato davvero io quelle mail”, rivela Toscani “ho cominciato a dire a me stesso: forse l’ho fatto, l’ho fatto e me ne sono dimenticato. Come quando racconti una bugia per così tanto tempo che arrivi a credere sia vera, che il racconto inventato forse è successo realmente”.
Un film che sarebbe certamente piaciuto a Federico Fellini: “Sono un gran bugiardo. La fantasia è infinitamente più interessante della realtà. Le versioni dei fatti le modifichiamo continuamente, per non annoiarci”.
Testo di Simone Rossi
Foto report di Eros Pacini
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