So cosa hai fatto
Pier Maria Bocchi presenta il suo libro in compagnia di Giacomo Calzoni

PIER MARIA BOCCI e IT FOLLOWS
Giovedì 13 febbraio. So cosa hai fatto. Scenari, pratiche e sentimenti dell’horror moderno esce lo scorso settembre per i tipi di Edizioni Lindau. Da quel momento Pier Maria Bocchi lo va presentando in tour in tutta Italia e intanto si susseguono le ristampe: un clamoroso successo editoriale. Perugia è la data finale di questo incredibile viaggio, grazie alla collaborazione con le nostre affezionate genti di Mannaggia Libreria. Sul palco, insieme a Pier Maria, il nostro Giacomo Calzoni, l’incarnazione del bruttomale che apre le danze (macabre) con una domanda che ruota attorno alla ‘forma ibrida’ del lavoro editoriale. “La chiave è in quel ‘so cosa hai fatto’. Ha una doppia valenza. Si rivolge al genere e al fatto che da decenni è materia di studio, ossessione personale, passione innata: l’horror è casa mia”, rivela Bocchi. “Dall’altra parte il tono volutamente confidenziale rivela l’intenzione di raccontare anche me e la mia maturazione di uomo e studioso all’ombra del genere stesso”.
Ma cosa distingue l’horror dagli altri generi cinematografici? “La sua capacità di parlare al contemporaneo, al nostro presente: è una dote unica. Per questo invito chi non l’abbia ancora fatto a correre a vedere The substance. L’idea alla base del film di Coralie Fargeat parte da uno spunto lucidissimo: noi siamo solo in quanto immagine. Anzi: io sono, dunque sono un’immagine che è come dire che non solo la nostra identità è un’immagine, ma che addirittura noi esistiamo in questo nostro mondo soltanto se ci percepiamo e consideriamo come immagine”. Parola questa, immagine, che è la vera ossessione di Bocchi, la crociata che ogni giorno porta avanti: “Non è possibile in questo nostro tempo non parlare di immagini. Il nostro sguardo è sottoposto a un bombardamento costante di immagini parcellizzate. Tutto quello di cui veniamo a conoscenza passa per le immagini. Per questo tendo sempre più a guardare un film travalicando gli elementi della trama, gli snodi narrativi, i colpi di scena. Prima di tutto, mi pare, venga il modo di mostrare quel che viene mostrato. In passato questa visione estetica sarebbe stata tacciata di superficialità. Oggi è la chiave”.
Giacomo poi si sofferma sull’identikit del fruitore horror: “Che cosa hai incontrato nel tuo tour che ti ha colpito in particolare?”. “Ho avuto una conferma, forse. E riguarda la natura di genere spartiacque che l’horror rappresenta. In questo lo accomuno al musical. Non credo mi sia capitato mai di incontrare dei fruitori a mezza strada. O si è appassionati o si respinge l’idea; o si guardano tutto quel che è horror, o dichiarano di non poterne sostenere la visione. Come col musical, appunto. Agli incontri il pubblico apparteneva naturalmente tutto alla prima categoria”.
Ma se la passione è innata in quale punto esatto si manifesta? “Ho impressa nella memoria un’occasione, ero molto piccolo, avrò avuto otto-nove anni. Mi ricordo che ero a casa di mia nonna e di una rassegna di cinema italiano dell’orrore che passava in Rai, credo in prima serata. Ho nitidamente in testa almeno tre titoli: La casa dalle finestre che ridono, e poi due film di Giorgio Ferroni, Il mulino delle donne di pietra e La notte dei diavoli. Mi fecero una paura pazzesca, ma credo che sia nata lì questa sorta di seduzione che l’horror ha esercitato su di me sempre. Un fascino che poi è diventato una vera ossessione per Dario Argento: dalle medie e per un po’ di tempo lo identificai come il più grande regista del mondo. Raccoglievo e ritagliavo tutte le schedine che comparivano su Tv Sorrisi e Canzoni dei film trasmessi, li incollavo su un quadernetto e davo i miei giudizi (del tipo, per dire: “Tenebre: a me Giuliano Gemma ha sempre fatto schifo però qui viene trafitto e allora…”) e naturalmente mettevo le stelline.”
La serata prosegue con la proiezione di un film che ha da poco tagliato il traguardo dei dieci anni (era il 2014), ma che continua a lavorare sul nostro presente, It follows di David Robert Mitchell. Un film che ricorre moltissimo nel volume di Pier Maria. “La particella ‘it’ (di kinghiana memoria) è centrale. Qualcosa ti segue, ma non è mai riconoscibile a un primo sguardo, muta. L’esatto opposto dell’assassino slasher degli anni Ottanta la cui maschera è inequivocabile. Siamo ancora nella sonnolenta provincia americana, siamo ancora lungo le siepi di Halloween, ma ora tutto è in piena luce eppure indecifrabile”. Giacomo cita Nightmare e Pier Maria ha un sussulto: “Sono due pellicole che si parlano. Che ci ricordano quanto gli horror decisivi, quelli capaci di compiere un salto ulteriore ‘massacrino’ quasi sempre il mondo giovanile, i teenager quali agnelli sacrificali. Una costante che ha pure a che fare col ruolo del sesso nel genere. Che non è mai ossessione, ma capacità di riconoscere che questo aspetto, nel passaggio all’età adulta, è il vero grande generatore di ansie, paure, terrori”.
Applausi, ringraziamenti, le luci si spengono e parte il film: un viale alberato deserto, una bianca casetta a schiera, siamo al tramonto, una ragazza sbuca dalla porta seminuda, corre in tondo, guardandosi le spalle terrorizzata, i tacchi risuonano sull’asfalto, il padre la chiama, le chiede che succede, lei rientra, la porta si chiude di nuovo, riesce pochi secondi dopo, ha in mano le chiavi dell’auto, salta sul sedile e sgomma via…
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