EVENTO CONCLUSO

Mercoledì 20 giugno, in occasione della Giornata Mondiale del Rifugiato, Ya Basta! Perugia promuove l’anteprima del reportage Violent Borders realizzato da Michele Aiello, Giorgio Fruscione e Valentina Marconi.

OSPITE L’AUTRICE DEL REPORTAGE VALENTINA MARCONI

Cosa significa essere una madre, un bambino o un adolescente quando viaggi a piedi per 4.000 km, spendendo 4.500 euro per passare numerosi confini, non potendoti fidare nemmeno delle forze di polizia e rimanendo bloccati in un Paese di cui non si conosceva l’esistenza?

La Serbia, definita da molti la nuova Calais, ha visto diminuire il numero di richiedenti asilo “accolti” rispetto agli anni scorsi, ma rimane un angosciante limbo per tutte le persone in transito, forzati a permanere in centri governativi alienanti e sconnessi dalla vita quotidiana dei centri abitati.
A causa dei respingimenti croati e rumeni e dell’esiguo numero di persone che l’Ungheria accetta (circa 10 alla settimana), i tempi di attesa per uscire legalmente dalla Serbia possono superare l’anno. Durante tutto questo periodo le persone rischiano di impazzire, condizione aggravata dai numerosi traumi subiti nei precedenti passaggi di frontiera. Si contano ancora 3.200 rifugiati fermi in Serbia: 35% di loro sono minori; il 15% sono donne adulte.

Questo reportage tenta di dare loro voce attraverso alcuni personaggi e racconti paradigmatici.

Malika, Fawzia and Maria sono tre donne afgane sui trent’anni, anche se ne dimostrano molti di più. Tutte stanno vivendo in centri governativi serbi, nei quali aspettano da più di un anno di ricevere i documenti per entrare in Ungheria e poi proseguire il viaggio. Anche se queste donne si conoscono, non si raccontano le loro storie, perché all’interno dei centri serbi qualcuno potrebbe usarle contro di loro. Ma all’interno della “stanza” di Malika, lentamente si crea un’atmosfera di fiducia e le tre donne cominciano a raccontare le loro esperienze più tristi.
Malika è stata rapita e derubata di tutti i risparmi familiari dai trafficanti. Maria stava in viaggio con un bambino di 6 mesi che non era in grado di allattare. Fawzia è stata aggredita da poliziotti bulgari e ha perso il suo bambino durante la gravidanza.

Oltre alle donne e ai loro figli, anche i minori non accompagnati sono una delle categorie più vulnerabili. Alcune centinaia di minori non accompagnati si muovono fuori dai centri governativi e cercano di attraversare il confine illegalmente, ma questa pratica prevede sistematicamente il respingimento, preceduto da pestaggi e morsi di cani da parte delle polizie di frontiera.

Abdul (14 anni) ha provato una ventina di volte a passare i confini ungherese, croato e rumeno. Durante la sua testimonianza sorride sardonico e insulta i poliziotti dell’UE. Anche Ansar (15 anni) insulta la Bulgaria con fare divertito e afferma di non volere che anche suo padre intraprenda la rotta per l’Europa.
Il reportage si muove così tra i centri governativi e gli accampamenti informali di Belgrado, quando ancora esistevano le infauste “barracks”.  All’interno della narrazione si ergono due luoghi che fanno da contraltari alle storie dei rifugiati: da una parte il muro ungherese, disumano, autoritario e militarizzato; dall’altra, un assaggio della vita notturna di Belgrado, che rappresenta, in senso lato, la società europea, sorda e cieca di fronte ai drammi del profugato contemporaneo.