Austerlitz
Documentario | Germania | 2016 | 94 minAusterlitz. I campi di concentramento: la vita e le storie che hanno caratterizzato gli anni della tragedia dell'Olocausto. Una riflessione necessaria sul valore della memoria e sulla sua museificazione nell'era degli smartphone.
Evento anteprima mercoledì 25 ore 20.00, ingresso al prezzo speciale di € 4,00
Una giornata tipo dei visitatori del museo di Sachsenhausen, allestito all’interno di un campo di concentramento, in cui le uniche voci che ascoltiamo appartengono alle guide turistiche che spiegano le torture inflitte nel campo dalle SS e dalla Gestapo.
Cineasta ucraino nato in Bielorussia, Sergei Losnitza si è rapidamente affermato nell’ambito del cinema documentario dopo lo choc di Maidan, cronaca di quanto avvenuto nel 2014 durante la cosiddetta “rivoluzione ucraina”. Con Austerlitz il regista realizza un’opera mirabile per la sua presa sulla contemporaneità, figlia di uno straordinario spunto iniziale.
Il titolo si rifà al romanzo omonimo di W.G. Sebald, riflessione sulla memoria dei fatti dell’Olocausto, che Loznitsa utilizza in chiave di ispirazione per il “suo” Austerlitz. Il valore della memoria si scontra infatti drammaticamente con l’assenza della stessa, schiacciata in un mondo perennemente declinato al tempo presente, in cui fotografare una persona, un’opera o un evento è considerato più importante che osservare e fruire dello stesso.
Loznitsa posiziona la macchina da presa in alcuni luoghi chiave del museo di Sachsenhausen e lascia che siano i visitatori a fare il resto. La sfilata di turisti annoiati, intenti a fotografarsi o che indossano magliette con slogan come “Just Don’t Care” è disarmante anche per il più cinico dei misantropi, difficilmente preparato a tanta abiezione morale. Le fotografie in posa nelle camere a gas o sui pali dove i prigionieri venivano impiccati sono compiute con perfetta nonchalance e senza il disturbo di alcun dubbio etico. Quasi nessuno dei visitatori immortalati ha un’espressione sofferente in volto, che tradisca una minima comprensione del luogo in cui si trova. Loznitsa monta quelle che sono lunghissime macrosequenze riprese con camera fissa e abilmente nascosta, dando l’impressione di condizionare il meno possibile gli eventi che intercorrono di fronte alla mdp. Ma, se il pessimismo di fronte alla deriva intrapresa dall’umanità nel suo complesso è totale, la riflessione di Loznitsa sembra andare oltre, interrogandosi sul senso stesso di questi luoghi. È giusto che i campi di concentramento siano diventati musei? Che cosa intendono esibire al pubblico? Perché, in fondo, il comportamento tenuto dai visitatori a Sachsenhausen è quello che questi abitualmente riservano, nell’era degli smartphone, a qualsiasi attrazione turistica: nessun segno di interesse a parte l’azione meccanica e compulsiva di fotografare tutto quel che si può immortalare, misto a un generico senso di visita effettuata per dovere, o per decisione altrui.
Trasformare il luogo della memoria in un canonico percorso museale, con contorno di comitive e pranzi al sacco, significa automaticamente uccidere il difficile percorso introspettivo personale, che dovrebbe accompagnare la riflessione in un luogo simile. Loznitsa non condanna i turisti né li osserva dall’alto verso il basso, si limita a fotografare uno stato di cose che potrebbe rappresentare un inquietante campanello d’allarme sulla coscienza collettiva e su come ci relazioniamo oggi con la Storia e con i suoi orrori. Una visione necessaria.