Citizen Rosi. Il racconto dell’Italia attraverso lo sguardo e le parole del grande cineasta. A guidare lo spettatore tra i film di Rosi è la voce della figlia Carolina, che fin da piccola ne ha seguito con ammirazione il lavoro e che riprende in mano, nel suo studio, i cospicui dossier giornalistici con cui si preparava al set.
Nel 2012 la Biennale di Venezia conferisce a Francesco Rosi (Napoli, 1922 – Roma, 2015) il Leone d’Oro alla carriera. Nel ritirarlo il regista ricorda con orgoglio che l’anno precedente l’Istituto italiano di Cultura ha organizzato “Citizen Rosi”, una selezione dei suoi film. Il riconoscimento della Mostra arriva quindi alla soglia dei suoi 90 anni, dopo cinque decenni di attività, all’inizio come assistente del Visconti neorealista, e almeno quattro tra il primo film diretto, La sfida (1958) e l’ultimo, La tregua (1996). Pur avendo esplorato anche altri generi, il nome di Rosi è sinonimo soprattutto, in tutto il mondo, di un cinema civile rigoroso, che è insieme elegante e popolare, veicolo di secca denuncia e capace di intercettare il dramma intimo, individuale, nella Storia.
La voce vibrante di Carolina Rosi resta dentro e fuori dal campo, intenzionalmente alta e decisa, per tutto il film. Anche se sulle prime può sembrare un elemento soverchiante, è giusto si mantenga tale, perché l’eredità di “Franco” (come lei lo ha sempre chiamato) arrivi chiara e forte. Citizen Rosi è infatti una sintesi puntuale del preziosissimo e spesso pionieristico lavoro investigativo del regista napoletano: non una rassegna completa né una celebrazione postuma, ma un’inchiesta che mette a fuoco e in fila i fatti esposti in Lucky Luciano, Dimenticare Palermo, Salvatore Giuliano, La sfida, Le mani sulla città, Il caso Mattei, Cadaveri eccellenti, Cristo si è fermato a Eboli, Tre fratelli, Uomini contro, La tregua.
L’obiettivo del documentario è ricordare con che tecnica sistematica e quanto impegno appassionato Rosi abbia dimostrato con le sue pellicole che l’Italia repubblicana è nata sotto il segno di una forte commistione tra politica corrotta e criminalità organizzata. Circostanza che ne ha compromesso l’evolversi in direzione realmente democratica (quella trattativa tra Stato e mafia a cui fa riferimento, con tutt’altra estetica, anche La mafia non è più quella di una volta di Franco Maresco).
Gli accordi tra mafia e servizi segreti americani, la strage di Portella della Ginestra, la progressiva diffusione della malavita dal Sud a tutta la penisola, gli interessi dietro la morte di Enrico Mattei, la rivelazione della P2 e di Gladio, la stagione del terrorismo, delle stragi, dei ricatti, fino alla demitizzazione della Prima guerra mondiale e ai maxiprocessi di mafia: nel citato corpus di Rosi è scritta a caratteri di fuoco tutta la storia del Paese e per fortuna è ancora tutto qui, davanti ai nostri occhi, che quasi urla per essere analizzato, studiato, discusso. Sotto traccia, complementari alle immagini dei film, corre il pensiero di intellettuali come Leonardo Sciascia, Carlo e Primo Levi, Raffaele La Capria. E incastonate tra le immagini dei film, le testimonianze mirate di magistrati, giornalisti e scrittori che con le loro parole hanno scritto parte della storia nazionale, a volte sostituendosi alla politica stessa, che su quei film si sono formati e per i quali restano punti di riferimento e indicazioni di metodo.
Attingendo con intelligenza al ricco archivio del regista, oggi donato al Museo del Cinema di Torino, e alle competenze di cineasti come Roberto Andò (che ha dedicato a Rosi il documentario Il cineasta e il labirinto) e Giuseppe Tornatore (co-protagonista del libro-intervista di Rosi ‘Io lo chiamo cinematografo’, Mondadori) Citizen Rosi si rivela un formidabile stimolo a scoprirne o rileggerne l’opera. Al tempo stesso richiama chi guarda a riflettere sul diritto/dovere di impegnarsi ad essere “cittadino” (che è qualcosa di molto diverso dall’essere “suddito”, come ricorda il magistrato Gherardo Colombo), vale a dire civis consapevole, informato del reale. Perché tutti i film di Rosi (“a tenuta stagna”, secondo la definizione di Tornatore) sono un invito, attualissimo, a formulare delle ipotesi, formarsi delle idee, delle opinioni, solo dopo essersi documentati.
Quei film non hanno mai smesso di rinnovare quell’invito, attraverso la forza dei volti (ovviamente Gian Maria Volonté, ma anche Rod Steiger, Lino Ventura, Jim Belushi, John Turturro) e dello stile classico di un regista dotato di straordinario coraggio e autentico desiderio di confronto dialettico, per quanto difficile possa essere, col pubblico (anche al punto di entrare col suo corpo “dentro” Il caso Mattei). Come ricorda l’intervistato Costa-Gavras, esiste una complementarietà diretta tra arte e democrazia e Citizen Rosi lo dimostra ad ogni inquadratura.
Oltre a ciò il film getta una luce sulla necessità – finita quella stagione di cinema, che è diventata un’impresa sempre più costosa e meno libera di andare in cerca della verità – di un giornalismo che sia cane da guardia del potere e sentinella dei valori democratici, mai pienamente garantiti ma frutto di continui tentativi. Ecco perché, in aggiunta alle sale, la scuola sarebbe la sede più naturale per ospitare e far circolare uno sforzo così diligente di ricapitolazione dei misteri italiani e difesa dei principi costituzionali