Easy Living – La vita facile
Commedia | Italia | 2019 | 93 minEasy Living - La vita facile. L'opera prima dei fratelli Miyakawa, in concorso al 37° Torino Film Festival.
Un ragazzino di quattordici anni, una giovane universitaria che contrabbanda medicine sulla frontiera italofrancese e un bizzarro maestro di tennis americano che sogna di fare il pittore. Le loro vite vengono scombussolate dall’incontro con un migrante clandestino. Tutti insieme organizzano un piano rocambolesco per aiutarlo a varcare il confine.
«Siamo cresciuti passando le vacanze a Mentone, sul confine tra Francia e Italia. Un confine che, nel corso degli anni, abbiamo visto cambiare, e che oggi è per molti un luogo di attesa e tensione. In questo film abbiamo voluto trasportare la nostra infanzia nella realtà di oggi. L’abbiamo fatto chiedendo al nostro fratellino di recitare nella parte di Brando, un ragazzino attraverso il cui sguardo ingenuo, spontaneo e avventuroso viene raccontata la storia di un migrante clandestino e di tre amici che decidono di aiutarlo a passare il confine. Non per beneficenza, ma per amicizia». [Orso e Peter Miyakawa]
Se c’è una cosa che colpisce e che fa la differenza in Easy Living è il suo sfuggire alle facili omologazioni, alle sicurezze di una comfort zone, ma soprattutto alle etichette.
L’opera prima dei fratelli italo-giapponesi Peter e Orso Miyakawa, ben accolta lo scorso novembre al Torino Film Festival e ora nelle sale in cerca di ulteriori consensi, è un “oggetto” audiovisivo anomalo e grezzo, che si aggira nel panorama cinematografico come un corpo estraneo.
Il che lo rende una spiazzante mina vagante da intercettare e fruire con curiosità, poiché la sua natura narrativa, drammaturgica, oltre che estetico-formale, è il risultato di un modus operandi che fa dell’istinto da una parte e del carattere evocativo dall’altro (patina anni Ottanta, zoom a schiaffo e spirito da B movie), il carburante che ne alimenta il motore.
Il DNA è quello di una commedia dai toni malinconici e vintage, mescolati senza soluzione di continuità con uno humour volutamente sopra le righe, dal retrogusto british, ma mai sgarbatamente invasivo.
Quanto basta per costruire un plot fatto di piccole cose e di grandi sentimenti, quelli che legano i fili di un coming of age in cui la realtà contemporanea dei migranti di Ventimiglia viene filtrata dallo sguardo di un adolescente e trasformata in avventura.
Un’avventura al seguito di una galleria di strambi personaggi fuori dagli schemi, consumata nel vero senso della parola in un luogo al confine dove l’attesa estenuante e la tensione latente sono all’ordine del giorno.
Quattro ragazzi con storie di vita e di estrazione sociale differenti, uniti da un solo scopo, quello di aiutare un giovane immigrato a passare il confine con la Francia, è il baricentro su e intorno al quale ruota il film.
Una “missione” rocambolesca che presta il fianco a una tematica, quella della migrazione clandestina, sempre attuale, complessa da maneggiare, ma che gli autori scelgono coraggiosamente di declinare in una chiave leggera, con un tocco di speranza mista a umanità che ammorbidisce un dramma di fondo che sembra non avere fine.
[Francesco Del Grosso per cinematografo.it]