Eden
Drammatico | Francia | 2014 | 131 minEden. Paul è un ventenne parigino, appassionato di musica house, che la sera sgattaiola fuori di casa per andare ai rave. Presto, pur giovanissimo, fa carriera come DJ, in coppia con un amico. Il loro scopo è quello di portare la musica garage a Parigi e tutto sembra andare bene, nonostante il ritorno in America della ragazza di Paul, Julia, e il compulsivo consumo di droga. Passano gli anni e il grande amore, e i Cheers di Paul e Stan devono fare i conti con la fine di un'illusione.
Al microfono della radio, dovendo descrivere la musica che ama, che produce e diffonde, contribuendo a far ballare migliaia di ragazzi tra il 1992 e la prima metà degli anni zero, Paul parla di "qualcosa a metà tra l'euforia e la malinconia". È il French Touch, che mescolava, appunto, i toni forti della house con lo spleen di vecchi dischi funk campionati. Ma la stessa definizione calza a pennello anche a Eden , quarto film di Mia Hansen- Løve, scritto con il fratello maggiore, Sven, ex DJ e protagonista di quel pezzo di storia musicale e generazionale.
Continua, dunque, in un certo senso, il rilanciarsi di temi e stilemi tra la regista e Olivier Assayas, dopo Un amore di gioventùe Qualcosa nell'aria, così come continua la prossimità del lavoro della Hansen- Løve con la sua autobiografia, senza rigidità alcuna. Soprattutto, si conferma e affina, con un bel salto di qualità, la capacità dell'autrice di sfondare la barriera tra arte e vita, realtà e ricostruzione. C'è qualcosa di potente e impressionante nella naturalezza con la quale fa vivere l'ambiente e l'epoca, naturalezza che non può che venire da un grande impegno nei confronti della verità. Ma è una verità sentimentale prima che scenografica, e un film rigorosamente al presente, che si direbbe perennemente in tempo reale, pur coprendo una ventina d'anni.
Riducendo il citazionismo, così francese eppure a tratti stucchevole, e portando al massimo livello la sua abilità nella scrittura di dialoghi credibilissimi, sempre dell'ordine del quotidiano, Mia Hansen- Løve non ottiene un effetto di superficialità ma, al contrario, ripulisce il copione dal superfluo e può finalmente affidare in toto la parola alla macchina da presa. Mai come in questa quarta prova, il senso delle cose è trasmesso dalla scelta delle inquadrature (quale dolce autoinganno può indurre posizionarsi là in alto, dietro la consolle), dalla fotografia (così notturna eppure così nitida), dal ritmo (perché lì sta il senso ultimo e l'ultima malinconia).
Se non bastasse, la Hansen- Løve tira fuori anche una vena di umorismo, con la gag di Guy-Manuel e Thomas, alias Darlin', alias Daft Punk, giudicati invariabilmente troppo poco cool per entrare in discoteca.