Il fiume ha sempre ragione
Documentario | Italia, Svizzera | 2016 | 72 minIl fiume ha sempre ragione. Alberto Casiragy e Josef Weiss non sono due artisti nel senso che comunemente intendiamo. La loro arte è quella della tipografia. Arte che a dispetto dei tempi continuano a intendere e a esercitare come pratica della manualità, come lavoro artigianale. Casiraghy è un uomo di poesia, aneddoti e aforismi (uno dei quali ha dato proprio il titolo al film). La sua casa dice molto di lui: è piena di foto, disegni, memorabilia, statuette, cimeli vari, ma soprattutto tanti tanti libri e lettere manoscritte. Oggetti carichi di significato, ognuno con una propria storia. Molti artisti, disegnatori e poeti si fermano nella sua bottega a Osnago e insieme a lui stampano le loro opere per mezzo del suo gioiellino, la sua reliquia sacra: una stampante meccanica a caratteri mobili. Josef è grafico e restauratore di libri. Il suo atelier a Mendrisio in Svizzera nel Canton Ticino viene definito da Casiraghy, con l'acume che lo contraddistingue, un "convento laico", a sancire l'aura di sacralità che avvolge il lavoro dell'artigiano. La dedizione e la poesia con cui praticano la loro arte è ciò che accomuna queste due adorabili figure.
Silvio Soldini, autore con un'esperienza consolidata nel cinema documentaristico che ha avuto inizio nel 1986 con Voci celate, realizza un ritratto di due figure dei nostri giorni che consapevolmente hanno deciso di non smettere di praticare la stampa e la grafica contro le logiche moderne che allontanano sempre di più dall'apporto umano. L'arte manuale è invece viva, vissuta, autentica, e proprio per questo talvolta anche piacevolmente fallace.
Il regista milanese osserva i due poeti della tipografia in silenzio, seguendoli nella loro quotidianità. Con la stessa cura con cui Josef piega carta e cartoncino per riaccomodare un libro, taglia e cuce le carte e rifinisce i colori per la stampa, Soldini intesse un racconto fatto di dettagli e attenzione al particolare, esaltando la poesia della manualità ad esempio stringendo sulle mani operose di Josef ("anche un panettiere può essere un poeta"). La colonna sonora è affidata ai micro rumori ambientali, ai fruscii dei polpastrelli che scorrono sulla carta mentre viene piegata, stesa, fin accudita, e dai rumori sferraglianti, ma mai troppo invasivi, della macchina a caratteri mobili. Il documentario alterna in maniera molto armonica e complementare le sequenze nelle botteghe dei due tipografi. Così il regista struttura il film come il piegarsi di un foglio di carta che man mano mostra prima un lato poi l'altro.
È un film dove la manualità e la tipografia vengono esaltate come forme d'arte, che ci riportano contemporaneamente all'essenzialità delle parole e di conseguenza all'essenzialità dei pensieri. In questo senso, il documentario riesce nell'intento di ridare dignità alle lettere e riconcilia il singolo carattere alla propria storia, che risale all'invenzione della stampa a caratteri mobili di Gutenberg nella prima metà del 1400. L'attenzione per il carattere, per il dettaglio ha a che fare con la formulazione del pensiero, delle massime, degli aforismi, delle poesie in cui, si sa, la posizione delle parole, delle sillabe, così come delle lettere non è casuale, ma è alla base dell'atto artistico-creativo. In fondo, anche lo stesso racconto audiovisivo si compone di un montaggio di tanti piccoli elementi visuali e sonori: i fotogrammi che si susseguono e si organizzano dando luogo al film stesso.