Ghost in the Shell
Azione | USA | 2017 | 120 minGhost in the Shell. La storia del maggiore Makoto Kusanagi e dei membri della Sezione di Sicurezza Pubblica numero 9 specializzata in casi in cui sono coinvolti terroristi e hacker.
In principio era il manga (1989). Ghost in the Shell, franchise giapponese degli anni Novanta, comincia dai disegni di Masamune Shirow, declinati in film, videogame, serie TV e romanzi (inediti in Italia) che hanno marcato gli anni Novanta e l'immaginario. Adatto (e animato) due volte al cinema, nel 1997 e nel 2004 da Mamoru Oshii, Ghost in the shell ritrova il respiro del grande schermo in una versione live prodotta dalla Dreamworks. Ambientazione cyberpunk e dimensione filosofica, Ghost in the shell avanza negli anni e con la tecnologia fino a New Port City, in Giappone, dove il Maggiore Motoko Kusanagi e la Sezione 9, reparto speciale della polizia che combatte il terrorismo informatico, devono scovare un misterioso hacker in grado di introdursi nei cervelli cibernetici e prenderne il controllo.
Agente in un corpo interamente cibernetico, Motoko Kusanagi ha un'anima umana, il ghost del titolo, che cova sotto la corazza (shell) ed è la causa del suo disagio. Tra distopia e utopia, corpo e spirito, biologico e tecnologico, VHS e 3D, versioni ed espansioni, Ghost in the shell concepisce una nuova natura.
Natura che nasce dall'incontro tra Motoko Kusanagi, che vive il proprio corpo come prigione dello spirito, e un puppet master, spirito artificiale affrancato da tutte le ambasce del corpo. Uno spirito che non conosce l'enclave materiale. Diversamente da Terminator, in cui James Cameron rintraccia le briciole di umanità al cuore di un mondo promesso alla robotizzazione, Ghost in the shell non contempla la lotta della carne contro l'acciaio ma interroga e comprende l'altro da sé. Eludendo qualsiasi manicheismo e trascendendo l'intrigo, Ghost in the shell è la storia di un incontro tra due esseri singolari. Il dialogo filosofico tra due aspetti incompleti dell'umanità che tendono ineludibilmente a completarsi. In uscita a marzo, Ghost in the shell è diretto da Rupert Sanders (Biancaneve e il cacciatore) e promette nel trailer l'essenza dell'originale. Sotto la complessità della trama, il manga di Masamune Shirow rivela una fenomenale profondità discorsiva su corpo e spirito, riprendendo e rilanciando le grandi linee del pensiero filosofico, da Plotino a Cartesio, costruite sullo stesso soggetto. Al fondo dell'azione il paradosso del corpo, prigione per lo sviluppo spirituale dell'individuo e insieme vettore essenziale per sviluppare lo spirito.
Dispositivo di idee, la science fiction è un genere che permette di sperimentare all'infinito, di creare città senza identità e universi onirici in cui qualche volta la tecnologia ci mette in stato di veglia, alleggerendoci del corpo. A vegliare ci pensa il Major di Scarlett Johansson. Se in Her esprimeva il bisogno di incarnarsi, in Ghost in the shell si domanda se è davvero il corpo a definire la sua identità. Procedendo in direzione ostinata e contraria, l'attrice sembra emanciparsi dal corpo e aspirare a una sorta di 'io' universale, uno spirito libero dal peso della materia. Da Philip K. Dick a Isaac Asimov, passando per Blade Runner e il dualismo cartesiano, Ghost in the shell non ha ancora esaurito la sua portata potenziale, gettando un altro sguardo sul 'postumano', avanzando in primo piano un'eroina e intervenendo sulla questione delle visioni contrapposte della figura del cyborg. Da una parte la costruzione tipicamente virile, militaresca e aggressiva dell'organismo tecnologicamente implementato (Terminator), dall'altra l'utopia cyber femminista sulle potenzialità liberatorie della tecnologia (Ghost in the shell).
Il sex-appeal dell'inorganico
Più prosaicamente, lontano dalla sottigliezza della sua filosofia e in anticipo sull'uscita in sala, Ghost in the shell è salito agli onori della stampa per la sua protagonista, Scarlett Johansson. Attaccata dai fan del celebre franchise giapponese, la DreamWorks ha difeso la sua scelta contro l'accusa di whitewashing, ovvero scegliere attori bianchi per recitare ruoli che 'bianchi' non sono. Non è certo la prima volta per Hollywood e non basterebbe una vita a elencare gli interpreti e i disastrosi effetti (qualche volta) di questa decisione. Da Laurence Olivier (Otello) a Marlon Brando (Viva Zapata!), da Katharine Hepburn (La stirpe del drago) a Mickey Rooney (Colazione da Tiffany), da Luise Rainer (La buona terra) a Linda Hunt (Un anno vissuto pericolosamente), da George Chakiris (West Side Story) a Peter Sellers (Hollywood Party), Hollywood ha praticato largamente il whitewashing e il suo corollario, lo yellow face. Tra supposti test per 'diluire' l'etnicità di Scarlett Johansson e il solo colore che pare interessare Hollywood, il verde, la polemica divampa. Provando a spostare la questione e se possibile a elevarla, è più vantaggioso chiedersi perché un'attrice di padre danese e madre polacca, possa invece interpretare la poesia high-tech di Masamune Shirow e perché i giapponesi siano stati i primi a sorprendersi dell'affaire. Sorpresi sì, perché la specificità del cinema giapponese consiste oggi nella combinazione tra la propria eredità estetica e la sua negazione. Il cinema di genere come il variegato mondo dell'animazione conduce un'interrogazione sulla società giapponese e sul modo in cui, al di là della dualità obsoleta tra tradizione e modernità, proceda a tentativi di integrare altre forme culturali, restando se stessa, dinamizzandosi ed esteriorizzandosi.
E d'altra parte il manga di Masamune Shirow conferma questo movimento mettendo in questione le distinzioni natura e artificio, spirito e corpo, organismo e macchina e offrendo l'occasione per costruire nuove forme di soggettività che superino ogni strutturazione oppositiva, in primo luogo l'annosa considerazione della tecnologia in termini positivi o negativi. Nell'ambito della riflessione sulle figure liminali come i cyborg, Ghost in the shell non sembra considerare la tecnologia né amica né ostile. La tecnologia diventa piuttosto uno spazio a partire dal quale ripensare la propria identità e la propria politica identitaria fondata sulle relazioni dicotomiche tra il sé e l'altro. La dialettica, diversamente dalla sclerotizzazione, favorisce da sempre il costante processo di ridefinizione. Nel quadro di una cultura che pratica la filosofia interculturale e la contaminazione estetica, la polemica intorno a Scarlett Johansson è priva di senso per i fan giapponesi del manga e per Sam Yoshiba, editore della Kodansha Comic, più concentrato sulla chance di un'opera giapponese di essere vista nel mondo interno. Al di là dell'indubbio colpo di marketing, Scarlett Johansson sembra tagliata per il ruolo di donna cyborg. Portatrice di un'alterità coltivata con l'alieno di Under the Skin, tradotta dalla voce viva e sensuale di Samantha (Her), smarrita nella bolla di narcisismo personale e culturale di Lost in Translation, trasferta (guarda caso) nipponica in cui esplorava Tokyo coi tempi del jet lag, l'attrice americana sembra l'ultimo confine che separa l'interno dall'esterno, l'interiorità dall'esteriorità, la profondità dalla superficie. In un cast multietnico che contempla Takeshi Kitano e Michael Pitt, Rila Fukushima e Juliette Binoche, Scarlett Johansson, dopo essere stata la voce più carnale del cinema, s'impone allo spettatore dentro un corpo-armatura che evidenzia con le forme femminili una bellezza irreale. Trasformato in perfetto feticcio sessuale e mascherato dall'esaltazione della natura meccanica dell'organismo, il corpo dell'attrice sembra rivelare la meccanica dell'io interiore.
Giunture, pelle sintetica, levigatezza, candore, flessibilità, resistenza, elasticità, Scarlett Johansson materializza il sex-appeal dell'inorganico, emancipato dal desiderio e dall'apparenza delle forme, e si tuffa letteralmente in un'avventura che potrebbe costituire un percorso di sovversione del femminile. Non ci resta che aspettare. Aspettare e vedere dove condurrà l'alleanza tra la tecnologia e la donna. E scoprire in quale piega dell'universo enigmatico di Masamune Shirow si è nascosto Michael Pitt, l'unica star del cast a non comparire nel trailer