PROGRAMMAZIONE CONCLUSA
Philippe Van Leeuw
Un film di Philippe Van Leeuw. Con Hiam Abbass, Diamand Abou Abboud, Juliette Navis, Mohsen Abbas, Moustapha Al Kar.
Titolo originale Une famille syrienne. Drammatico, durata 85 min, colore - Belgio, Francia, 2017 - Movies Inspired.

Insyriated. Vincitore di 11 premi internazionali in altrettanti festival. Trionfatore alla Berlinale 2017 nella sezione Panorama. 

La guerra in Siria, ma quella vista da dietro le tende sempre chiuse, attraverso le finestre che non si possono mai aprire, attraverso lo sguardo delle donne che combattono in casa quanto gli uomini in città. La guerra in Siria è quella che costringe una famiglia qualsiasi in un giorno qualsiasi a nascondersi nella propria casa e a sperare di vivere anche quando la morte sembra a ogni bombardamento più vicina. Con coraggio e determinazione Oum Yazan (Hiam Abbass) difende il proprio nido, raccogliendo attorno a sé i suoi figli, suo padre anziano, la domestica e i vicini, giovani sposi con un neonato, che invece pianificano la fuga in Libano. Divisa tra partire e restare, la famiglia è costretta ad affrontare giorno per giorno la fame, la paura, l’angoscia nel silenzio di un segreto che non deve essere rivelato, nel timore di scoprire che il mondo non sarà più lo stesso. Philippe Van Leeuw, direttore della fotografia belga, diventa per la seconda volta regista per filmare la Siria con la stessa urgenza che aveva mostrato in Le jour où Dieu est parti en voyage (2009), storia di una donna tutsi durante il genocidio del 1994. Per la seconda volta Van Leeuw racconta la grande storia attraverso le storie per rispondere, forse, a quella domanda che sorge di fronte ai rifugiati, agli sbarchi nel Mediterraneo, ai tragici telegiornali: da cosa fuggono? È nelle quotidiane angosce, nelle conversazioni a letto, nell’intimo delle vite dei civili, che il regista va a cercare la risposta per un claustrofobico dramma a porte chiuse. Primi piani e sequenze lente scandiscono il racconto della guerra racchiuso in sole ventiquattro ore tra le mura di una casa in stato d’assedio permanente. Se le prime immagini del cortile del palazzo ridotto in macerie chiariscono subito l’intenzione di realismo del regista, il primo piano sull’anziano dallo sguardo stanco, affacciato alla finestra, avvia la rappresentazione della guerra che si combatte ogni giorno in casa. “Lascia il mondo fuori, non vale più niente”, consiglia il padre rassegnato alla figlia, mentre si sente l’eco delle bombe vicine, sempre più vicine. Da casa non è possibile uscire, a meno che non si voglia rischiare la morte. Damasco è irriconoscibile da dietro le pesanti tende color senape del salone. Van Leeuw sfoglia l’intera gamma dei sentimenti per esplorare l’essere umano nella banalità del quotidiano in cui lo spettatore si immedesima finché non scoppia una bomba. Tutti allora si riparano in cucina, un rifugio nel rifugio che è piuttosto una prigionia. “Insyriated”, infatti, era all’origine il titolo del film che vuole giocare sul significato della parola inglese, “reclusi in Siria”.  Se la casa, tuttavia, rimane l’unica ancora di salvezza, basta un’incursione di militari a trasformarla in un palcoscenico di violenza e umiliazione che Halima (Diamand Bou Abboud, emergente attrice libanese) è costretta a subire per proteggere la famiglia. Perché la guerra è anche quella che, senza pietà, si combatte sul corpo delle donne e che, senza pietà, il regista ci mostra. Come le donne, i loro corpi, le loro vite, così la casa porta i segni dell’orrore che ha cambiato irreparabilmente l’ordine delle cose. La telecamera, così, indugia sugli argenti di un’altra epoca, sulla grande sala da pranzo, sulle sedie intarsiate in legno. L’arredo elegante di una casa borghese di Damasco diventa quasi una scenografia teatrale a testimonianza di una felicità perduta. “La guerra finirà presto e saremo di nuovo tutti in pace”, Oum Yazan rassicura suo figlio ma non lo spettatore. Van Leeuw dimostra, dunque, di saper condurre abilmente il gioco di questa messa in scena dai toni cupi, senza mai vacillare davanti all’orrore della realtà né mai compiacersi nel decorare la finzione. D’altronde, dalla malinconia del nonno all’energia della figlia, tutti in famiglia riescono a trovare un modo per non sentire il rumore assordante delle bombe e continuare a vivere. Tutti risplendono di verità.