La vita che verrà
Drammatico | Irlanda, Regno Unito | 2020 | 97 minDopo tanto tempo, Sandra trova finalmente il coraggio di fuggire con le sue due figlie da un marito violento. In lotta contro una società che sembra non poterla proteggere e con l’obiettivo di creare un ambiente accogliente per le bambine, decide di costruire da sola una casa tutta per loro. Non tutto andrà bene ma durante l’impresa troverà la forza di ricostruire la sua vita e riscoprirà se stessa, anche grazie all’appoggio di un gruppo di persone disposte ad aiutarla e a darle sostegno.
Per Sandra e le sue figlie la nuova vita che verrà per fortuna non sarà mai più come quella di prima.
«Ho incontrato Clare per la prima volta – ricorda la regista – quando stavo cercando gli attori per Giulio Cesare, all’inizio del mio progetto su Shakespeare al femminile. Clare è venuta per il ruolo di Porzia. Non dimenticherò mai il suo provino: fu incredibile vedere un attore che è completamente se stesso; che colma il divario tra se stesso e il suo personaggio. […]». Lo stesso stupore la regista lo ritroverà tempo dopo, leggendo la sceneggiatura a cui Dunne aveva lavorato a lungo. «Era una scrittrice nata […] ho accettato di dirigere il film solo a condizione che ci fosse lei nel ruolo di Sandra». - Phyllida Lloyd
«Insomma, ne La vita che verrà Lloyd indovina alcuni stratagemmi per cercare una relazione con il pubblico che non sia semplicemente edificata sull’empatia nei confronti della protagonista, ma anche sulla possibilità di aprirla a una dimensione più rilassata e allontanarla dal dolore che ricorre in rapidi flashback. In questo modo costruisce un film popolare nella tradizione del cinema inglese, che sa mettere insieme il percorso di autodeterminazione femminile e il senso di comunità (il concetto, dall’irlandese antico, di “methal”: persone che si aiutano a vicenda). (…) Il racconto ha presa immediata, a Sandra e alle bambine si vuole bene da subito, la strada del “feel good movie” si apre presto: dignitoso e onesto, fruibilissimo, La vita che verrà sa coinvolgere lo spettatore senza ricatti sentimentali. E chi l’avrebbe mai detto che avremmo visto Lloyd alle prese con questo cinema “socio-emotivo”, in una terra di mezzo tra Ken Loach e Peter Cattaneo.» - Lorenzo Ciofani, Cinematografo.it
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