Ladri di biciclette
Drammatico | Italia | 1948 | 92 minLadri di biciclette. Un nuovo restauro, presentato in anteprima al Festival di Cannes nel 2018, per festeggiare i 70 anni dalla sua realizzazione nel 1948: Ladri di biciclette di Vittorio De Sica arriva ora nelle sale italiane, dal 4 febbraio, grazie alla Cineteca di Bologna. Titolo simbolo del Neorealismo, Oscar come miglior film straniero nel 1950, Ladri di biciclette si ispira all’omonimo romanzo di Luigi Bartolini, e si avvale per la sceneggiatura dello stesso Vittorio De Sica e, naturalmente, di Cesare Zavattini, oltre che delle firme di Oreste Biancoli, Suso Cecchi d’Amico, Adolfo Franci, Gherardo Gherardi, Gerardo Guerrieri. Affidato a un cast di attori non professionisti, Ladri di biciclette è, secondo André Bazin, “il centro ideale attorno al quale orbitano le opere degli altri grandi registi del Neorealismo”.
Il film più umano che sia mai stato girato.
Gabriel García Márquez
È un film senza pecche. Un lavoro assolutamente perfetto.
Woody Allen
La vera umanità io l’ho trovata solo con i registi italiani. In questo senso Ladri di biciclette è stato fondamentale per la mia formazione.
Abbas Kiarostami
Ci sono degli eventi che a una certa età ci hanno miracolato e io devo mettere tra questi eventi l’incontro con Ladri di biciclette.
Umberto Eco
Divenne un film assolutamente fondamentale per noi. Mostrava che la classe operaia era un buon soggetto, o, meglio, che la classe operaia si adattava perfettamente a essere l’elemento principale di un film.
Ken Loach
La maggior parte dei registi oggi, di quelli giovani, non sa niente della storia del cinema e, persino se non hanno visto Ladri di biciclette, ne sono sicuramente influenzati, perché tutti lo sono stati.
John Landis
Un giorno Zavattini mi dice: “È uscito un libro di Luigi Bertolini, leggilo, c’è da prendere il titolo e lo spunto. Era Ladri di biciclette. Bartolini ci cede il titolo e il diritto a trarre dal libro l’idea di un film, per un certo compenso. Più tardi, a film ultimato, protesterà violentemente. Quel soggetto mi appassiona profondissimamente. Solo in altri due soggetti ho creduto con uguale fermezza, Sciuscià e Umberto D.; su tutti gli altri ho nutrito, prima della realizzazione, dubbi. Mi metto a fare il giro dei produttori raccontando Ladri di biciclette. Faccio tutte le parti io: piango, rido, mi commuovo, mi sbraccio. Niente. Allora penso: in Francia hanno fatto soldi con Sciuscià, ora me ne daranno per fare questo. Ma a Parigi, abbastanza ragionevolmente, mi dicono: certo saremmo felici di acquistare il film, ma quando lei lo avrà fatto. Allora vado a Londra e vivo una strana avventura. L’unico che si interessa del soggetto è Gabriel Pascal (il produttore di Cesare e Cleopatra). Una mattina viene a prendermi in automobile e mi porta in una villa di campagna distante una quarantina di chilometri da Londra. È una villa isolata, molto bella, ma vagamente sinistra. La moglie di Pascal, simpaticissima, mi riceve con grande gentilezza. Giochiamo a tennis e a golf. Tento di portare il discorso sul film, ma non ci riesco. Nel tardo pomeriggio Pascal mi dice che deve rientrare a Londra, mi prega di aspettarlo, e mi accompagna in una stanza del secondo piano. Rimasto solo mi accorgo che le porte sono chiuse a chiave. Penso sia stata una distrazione e aspetto. A tarda notte rientra Pascal, si scusa, io non penso più alla faccenda. L’indomani la scena si ripete: quando scende la sera mi ritrovo chiuso a chiave nella stanza. Intanto anche la moglie è sparita. Comincio a preoccuparmi e quando finalmente riesco ad affrontare Pascal, questi candidamente mi confessa che voleva impedirmi di comunicare col produttore Korda. Poi mi offre dieci milioni in tutto. Ne ho abbastanza e torno in Italia. Gli uomini coraggiosi al punto di finanziare il film li trovai tra amici: Ercole Graziadei, Sergio Bernardi e il conte Cicogna di Milano. Furono tre soci straordinari. Mi lasciarono fare tutto ciò che volevo, mi dettero tutto il denaro che mi occorreva (pochissimo, per
altro; i miei film costano tutti poco, tranne Miracolo a Milano, per gli “effetti speciali” fatti da americani e costati il doppio del resto del film). Gli interpreti li trovammo in un modo avventuroso.
Il grande problema fu il bambino. Me ne portarono a centinaia: o erano bellini, romantici, lisciati, o erano incapaci.
(Vittorio De Sica, Gli Anni più belli della mia vita, “Il Tempo”, 16 dicembre, 1954)