L’amore secondo Isabel. Film vincitore del Prix SACD alla Quinzaine 2017 e presentato al 35° Torino Film Festival.
Nel film più francese di tutti i film francesi di Claire Denis, Isabelle (Juliette Binoche), bellissima cinquantenne madre e divorziata è alla continua ricerca dell’amore, quello vero. Fanno da sfondo la vita e il respiro di Parigi con i suoi rumori e le sue luci, e la Tour Eiffel che sembra illuminarla come se fosse un set. Isabelle è una donna che si sente sola e, invece, è tutte le donne, e non solo le donne. Soffre, si illude, spera, dubita, desidera, piange, ama. Un film raffinato e sensuale impreziosito dalla presenza di Gérard Depardieu e Valeria Bruni Tedeschi.
Claire Denis è partita da una voce dei frammenti di Barthes, “Agonia”, per inscenare il discorso amoroso di Isabelle.
Isabelle è una pittrice divorziata, con un figlia di dieci anni. Aspetta che la sua vita venga riempita da un amore. C’è un banchiere, un tipo eccentrico, che prima la seduce e poi le assicura che non lascerà mai la moglie. C’è un attore, forse. O forse un uomo conosciuto per caso, lontano dall’ambiente delle sue solite frequentazioni. Cosa fa, Isabelle, quando non è innamorata? “Niente”, dice lei, ma in realtà soffre, s’illude, spera, dubita, desidera, balbetta, piange.
Doveva esser parte di un progetto di adattamento completo del testo, ad opera di diversi autori, ma il suo contributo si è allontanato dalla fonte, si è liberato, senza rinunciare però alla formula del frammento. Esitante, incompleto, timoroso, l’innamorato non è capace di parlare dell’amato in maniera compiuta, non sa quanto l’esperienza del desiderio sia soltanto sua o condivisa. La Denis porta sullo schermo questo torturarsi mentalmente, alle soglie del sentimento che promette maggior felicità, dentro l’azione quotidiana, piccola, scomposta in parti, ridotta, appunto, a frammento. Deve scendere dall’auto o restare? Cosa vuole l’altro? Quello che vuole lei? Perché non parla, l’altro? O perché non tace, non agisce? Come la vede? In questo quadro, di volute ripetizioni, il personaggio dell’attore è quello che porta la nevrosi d’amore al livello più esplicito: è angosciato dall’idea della fine, la riscontra all’indomani dell’inizio, la anticipa parlando di morte, impedendo che il sentimento sperimenti una vita.
Juliette Binoche offre pezzi di sé (è una delle poche grandi attrici della sua età che non si è mai sposata) e del suo corpo all’obiettivo della regista e dà il meglio di sé (il meglio di sempre?) nei panni di questa donna che si sente sola e invece è tutte le donne, e non solo le donne. I suoi cambi recitativi di registro non sono mai stati così rapidi ed estremi e servono a dovere un film che è tutto scritto, quasi una pièce teatrale, nel quale nemmeno una passeggiata nel verde offre una boccata d’aria.