giovedì 1 gennaio
ORARI (click per mostrare/nascondere)
Un film di Noah Baumbach. Con Greta Gerwig, Lola Kirke, Heather Lind, Michael Chernus, Cindy Cheung.
Titolo originale Mistress America. Drammaticoa, durata 84 min, colore - USA, 2015 - 20th Century Fox.

Mistress America. Tracy Fishko, matricola al college, si è trasferita a New York e ha lasciato indietro un padre defunto e una madre in procinto di risposarsi. Mentre sogna di entrare in un prestigioso circolo letterario e di innamorare il nerd della porta accanto, conosce Brooke, la sorellastra che la madre le ha consigliato di contattare per sopravvivere alla metropoli. Rapita dall’entusiasmo e dalla dinamicità di Brooke, Tracy cambia passo e ritmo, lasciandosi coinvolgere dalla vita della giovane donna che sogna, tra le altre cose, di aprire un ristorante ‘familiare’ a Williamsburg. Se Brooke ha bisogno di soldi per realizzare il suo progetto, Tracy ha bisogno di Brooke per scrivere il racconto della vita. Amica e musa logorroica, offre suo malgrado a Baby Tracy la storia per accedere al circolo. Ma la realtà qualche volta è difficile da cogliere ponendo un abisso di interpretazioni. Interpretazioni a cui Brooke è irriducibilmente resistente.
Come si accordano vita e finzione? Possono essere manipolate per girare un film o per scrivere un racconto? Noah Baumbach riespone le istanze del film precedente (Giovani si diventa) e gira una commedia amicale interpretata con slancio inarrestabile da Greta Gerwig e Lola Kirke, ostinate a cercare il loro posto e a pretendere la felicità che meritano come in un racconto rohmeriano. Piene di un’incompletezza più sociologica che generazionale, quella della precarietà e della difficoltà a entrare nella loro età adulta, Brooke e Tracy hanno imparato ciascuna a suo modo e ciascuna secondo i propri anni a indossare in qualunque circostanza la maschera da vincenti. Un trucco che gli permette di incassare i colpi della vita con un vigore toccante, libere di mentire e di mentirsi.
Sedotto da una giovinezza, che qualche volta umilia e qualche altra salva, Baumbach chiama ancora una volta alla sbarra d’appello le nuove generazioni e chiude un’ideale trilogia della giovinezza cominciata con Frances Ha e continuata con Giovani si diventa. Commedie scritte a quattro mani con la sua giovane compagna Greta Gerwig, presunto punto di partenza di riflessioni sulla dissonanza tra le età. Mistress America aggiorna la materia di Giovani si diventa, abbassa i toni del confronto generazionale e ridimensiona il numero dei personaggi, che scendono da quattro a due: Brooke che (si) ripete di voler aprire un ristorante ma non arriva mai a concludere come il ‘documentario sull’America’ di Ben Stiller, Tracy che cova l’ambizione sotto la nerditudine ma la pratica con più sottigliezza del giovane documentarista di Adam Driver.
Se tradizionalmente sono i vecchi a vampirizzare i giovani, Baumbach inverte il movimento e racconta una storia che prevede di nuovo l’impiego da parte del personaggio più giovane di tutti i mezzi per arrivare ai fini (i propri). Nella vita come nella finzione letteraria che Tracy mescola con disinvoltura su un quaderno, catturando accanita, e senza porsi delle questioni, tutto quello che Brooke dice, tutto quello che Brooke incomincia (senza finirlo mai). Un film fa era unzoom a sollevare un affaire morale e a rivelare la malafede del giovane di Adam Driver, a questo giro e lontano da New York, è un racconto trafugato da una fidanzata gelosa a smascherare Tracy, che ha saccheggiato la vita della sorellastra facendone un ritratto decadente e inconcludente in odore di estinzione. Ancora una volta è un incontro a innescare il carburante e a produrre i segni di un’ammirazione reciproca, nondimeno Mistress America segnala scarti di età, qui inferiore ai vent’anni, e di carattere. Brooke non è in fondo la stronza che sembra essere, Tracy da par suo non è il vampiro che ha rivelato di essere. Tracy prova un’ammirazione sincera per Brooke, diversamente dal ‘debuttante’ di Adam Driver che si presenta al ‘vecchio’ Ben Stiller come inscenato ammiratore.
Ritrattista tragi-comico, affilato e verboso alla maniera della sua musa, Noah Baumbach firma un nuovo faccia a faccia mimetico tra due generazioni, in cui ciascuna sembra volere qualche cosa dall’altra dentro un malinteso generale. Se i toni passivo-aggressivi sono ereditati dal cinema europeo e le figure maschili dallo schlemiel ebreo di Woody Allen, i personaggi femminili trovano ragione e incarnazione in Greta Gerwig, attrice iper-contemporanea e pienamente rétro, capace di catturare lo spirito di un’epoca e di imporre, dai tempi di Frances Ha, una nuova maniera di essere al mondo. Una maniera che fluttua senza affondare, che non smette di traslocare, in una casa più grande o in un quartiere più alla moda, che si inventa senza bisogno di una storia d’amore, perché le infatuazioni si inseriscono in un contesto relazionale e immaginario più grande, dove alla fine a contare di più sono l’amicizia, il gruppo, la scoperta del mondo. Eludendo sempre lo scoglio del cinismo e diffondendo le sue commedie di note leggere ed etnografiche, Baumbach dona ogni volta una ragione e una chance ai suoi personaggi patologicamente felici e latori di un hipsterismo trionfante. Forse un nuovo umanismo