Nothingwood Party. Presentato in concorso alla Quinzaine des Realisateurs dell’ultimo Festival di Cannes ed in anteprima come film di chiusura del Perso Film Festival.
Produttore, regista, attore, autodistributore di oltre 110 film, Salim Shaheen è il volto indiscusso di un’incredibile non-industria cinematografica. Autodidatta, gira insieme ai suoi amici un film dietro l’altro, recita, canta, balla, viene riconosciuto per strada e acclamato dalla folla a più riprese come una sorta di eroe popolare. Nothingwood è il nome di questa terra cinematografica di nessuno. Quella che non ha mezzi, soldi, speranze. Non è Bollywood, non è Hollywood, non ha strutture nè professionisti, e tuttavia è cinema. Un cinema che ha come unico grande protagonista proprio Shaheen.
Il documentario di Sonia Kronlund, in anteprima alla Quinzaine des Realisateurs di Cannes e al Perso Film Festival, racconta le peripezie quotidiane di questo Bud Spencer afghano, che fa film a modo suo in terra talebana, senza alcun intento di denuncia, con il solo scopo di intrattenimento.
La storia è quanto mai interessante e la regista, neofita nel mondo del cinema ma da oltre 15 anni reporter in Afghanistan (e si vede) ha il merito di raccontarla così com’è, senza orpelli, abbellimenti, intenti agiografici. Fa bene a sottolineare a più riprese il carisma del suo protagonista analfabeta, un intrattenitore cialtrone e sgangherato – ma a suo modo geniale – e a inserire momenti esilaranti della quotidianità di quei bizzarri set improvvisati, dove si girano prevalentemente action (b)-movies.
Il valore della metafora è spiazzante: nei luoghi di repressione, dove si respira aria di regime e censura e ogni forma di espressione artistica è bandita, un omaccione riesce a ritagliarsi una fetta di creatività anarchica, secondo una libertà tutta sua di inventare. Con i mezzi che ha, ovvero che non ha, nel bel mezzo dei bombardamenti, con la voglia di ridere e intrattenere malgrado tutto.
Una sassata all’operatore amatoriale come lui che non sa bene cosa deve fare, il sangue vero di animale usato come make up e via, il cinema continua anche là dove la vita si ferma. Shaheen ne è convinto, racconta di essersi salvato una volta fingendosi morto “come avevo visto fare agli attori dei film veri”, un’altra di essere scampato ad un’esplosione che ha coinvolto mezza troupe. Non sempre una risata ci seppellirà, insomma: delle volte può anche salvare.