8½
Drammatico | Italia | 1963 | 138 min | 6+8½. Al suo ottavo film e mezzo, Fellini realizza un potente autoritratto, privo di reticenze, specchiandosi in un regista sorpreso da un’improvvisa crisi creativa, invaso dalle visioni fantasmatiche del passato e in balia dei rimorsi derivanti dalla sua contraddittoria vita privata. Dopo La dolce vita, è il film che sancisce il sodalizio tra Mastroianni e Fellini. Premiato come Miglior Film Straniero agli Oscar nel 1964.
Guido Anselmi è un affermato regista di quarantatré anni in crisi, il suo spirito creativo si è inaridito e non riesce a dare una direzione chiara al suo nuovo progetto cinematografico. Rifugiatosi a Chianciano Terme per un periodo di riposo cerca disperatamente di coniugare i propri problemi fisici con quelli della produzione. Ma la quiete che vorrebbe trovare è continuamente minata dalla presenza di attori e produttori, maestranze, mogli, amanti, sogni e ricordi. Presto l’albergo in cui soggiorna si trasforma nel set di un film sulla propria esistenza.
«Federico voleva Laurence Olivier, ma non ha rinunciato a Olivier perché gli aveva chiesto il copione, come è stato detto a suo tempo, bensì perché si è accorto che Olivier era un attore troppo grande per poterlo portare a quello che lui voleva, e anche troppo diverso da lui. Io gli somigliavo di più, cattolico, debole, antieroe. Per me 81⁄2 è stato la chiarificazione di queste caratteristiche che c’erano nel mio privato ma che diventavano anche la cifra del mio personaggio. 81⁄2 è un film che mi piace ancora moltissimo. Certo io ho avuto anche il privilegio di diventare amico di Federico. Grazie a questo, ho potuto trasferire sullo schermo piuttosto facilmente anche il Fellini autobiografico di 81⁄2. Anzi con 81⁄2 tutto andò ancora meglio. C’erano i suoi tic, le sue cose, le sue facce. Alzai persino il tono di voce, feci la voce un po’ di testa perché lui ce l’ha così mentre la mia è abbastanza grave, e questo gli dà anche un po’ fastidio. Insomma io con lui mi assoggettai al più elementare dei giochi che uno può fare con un amico con cui si trova bene, il gioco dei due che dicono: “Tu sei la guardia e io il ladro, avanti!”. Con il particolare, però, che era Federico a dirigere il gioco, come quando da ragazzino, nel mio quartiere, c’era sempre uno che fungeva da capobanda e noi tutti ci assoggettavamo con piacere al suo ruolo.» - Marcello Mastroianni
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