Pecore in erba. Nel luglio 2006 Leonardo Zuliani scompare e l’intero universo mediatico si occupa della notizia di un avvenimento che priva il mondo di un fondamentale attivista per i diritti civili. Fin dalla più tenera infanzia infatti Leonardo ha sentito in sé una spinta ad impegnarsi affinché qualsiasi forma di antisemitismo potesse esprimersi liberamente senza alcuna interdizione. Non è stata un’impresa sempre facile.
Alberto Caviglia, al suo esordio nella direzione di un lungometraggio, decide di adottare la forma narrativa del paradosso applicata a un genere poco praticato in Italia: il mockumentary. Il falso documentario che mescola elementi di totale finzione con testimonial che tutti conoscono, consente di sviluppare una tesi con la complicità dello spettatore che decide di stare al gioco divertendosi nello scoprire quali e quanti personaggi a lui noti si sono resi disponibili. L’elenco in questo caso è decisamente lungo perché si va da Fazio a Freccero, da Mentana a De Bortoli, da Elio a Sgarbi. Come si può evincere da questo parziale elenco Caviglia è stato in grado di raccogliere l’adesione di personalità anche ideologicamente molto distanti tra di loro. Il fine era quello di mettere in luce una stortura ideologica, ribaltando l’assunto come ha fatto in passato la letteratura con dei classici rimasti nella storia. Basti pensare, a titolo di esempio, a Jonathan Swift e al suo Una modesta proposta: per impedire che i bambini irlandesi siano a carico dei loro genitori o del loro Paese e per renderli utili alla comunità in cui l’autore de I viaggi di Gulliver proponeva di ingrassare a dovere i bambini poveri per poi venderli al mercato una volta compiuto un anno di vita quale cibo per i ricchi, combattendo così al contempo la sovrappopolazione e la futura disoccupazione.
Caviglia si inserisce nella stessa linea ipotizzando una società italiana (e non solo) in cui l’antisemitismo più feroce sia norma e in cui ogni forma di sostegno alla cultura ebraica rappresenti una devianza inaccettabile. Il ‘bravo ragazzo’ Zuliani è dotato di una genialità innata che lo porta ad inventare costantemente nuove modalità di dileggio e di contrasto agli ebrei che, a suo avviso, stanno alla base di ogni evento negativo. Nonostante risenta di una durata che sembra a tratti superiore alla forza della sceneggiatura ed abbia qualche caduta goliardica unita a dei bersagli ormai da decenni non più proponibili come tali (vedi la Chiesa cattolica postconciliare che ha esplicitamente e con gesti significativi rimosso gli elementi di antisemitismo che in precedenza ne caratterizzavano parte della dottrina) l’operazione di Caviglia ha una sua efficacia che va al di là della polemica stimolando lo spettatore a riflettere sul tema.
Note di regia
Pecore in erba è un film nato per rispondere a una domanda: esiste ai giorni nostri una nuova chiave per parlare di antisemitismo in modo da coinvolgere e sensibilizzare su un tema così controverso? Un tema così antico e allo stesso tempo costantemente presente nella cultura moderna, che i fatti più recenti, a mio avviso, rendono difficilmente riconoscibile. Per questo con “Pecore in erba” ho voluto provare ad affrontare un tema terribile come quello dell’antisemitismo con i toni della satira. Questo film vuole divertire, con un racconto che si fonda su un gioco: il gioco di parole, il gioco d’invenzione, il gioco con la Storia e la cultura popolare. E’ un divertissement che racconta un ragazzo in crescita e che fa riferimento a territori molto legati allo humor ebraico, come la psicanalisi. Leonardo è un inventore, un personaggio sopra le righe, un “Forrest Gump” che cambia involontariamente la storia. Ho trovato lo spunto per dar vita a questa storia quando ho provato ad immaginare un protagonista antisemita, che per una paradossale situazione non riuscisse mai veramente ad esprimersi ed affermarsi, nonostante la società in cui viva (una Roma distopica dei giorni nostri) fosse molto antisemita e in cui questo fenomeno non fosse mai realmente condannato. Leonardo è un trentenne romano dei giorni nostri, e rappresenta quello che definirei un “antisemita puro”. Questa purezza dipende dal fatto che Leonardo, pur vivendo in una realtà in cui l’antisemitismo è ampiamente accettato e sdoganato, non ha bisogno di motivi e ideologie per dar voce al proprio odio antiebraico, perché questo è innato, fa parte di lui e non deriva da una scelta ideologica. In questa storia che ricostruisce la vita di Leonardo (che è scomparso) attraverso la testimonianza dei suoi amici e famigliari, la narrazione entra nel vivo di una storia che coinvolge con leggerezza. La preoccupazione della famiglia di Leonardo per la sua diversità, l’amore per una donna, la ricerca di un padre scomparso e del rapporto che non ha mai potuto avere con lui, il desiderio di accettazione e quello di ‘trovare se stesso” muovono la sceneggiatura. Il gioco tra personaggi immaginari e reali (noti giornalisti, politici) inseriti in contesti realistici come i talk show, o nelle loro case, viene utilizzato come espediente per rendere la storia reale e non di pura fiction. E’ un gioco sottile, che prevede (da parte delle personalità che accettano di parteciparvi) di far leva sul loro ruolo e sulla loro notorietà per raccontare una realtà inventata e incredibile, totalmente distorta e amaramente divertente. Lo stesso vale per la rappresentazione di eventi storici e fenomeni di massa reali a cui viene data una nuova interpretazione (ovviamente falsa) amplificando ulteriormente l’impianto satirico. L’antisemitismo è un fenomeno radicato. Le sue forme più diffuse e difficili da combattere sono proprio quelle manifestazioni più sfumate o apparentemente inconsapevoli. Ho cercato un modo per portare in luce e ridicolizzare l’ipocrisia e la malafede (più o meno coscienti), invitando a riflettere sulle sfumature di questo fenomeno e sul nostro modo di porci riguardo ad esso. Se l’immedesimazione in un personaggio negativo potrebbe sembrare folle o addirittura pericolosa, il gioco è chiaro fin dall’inizio: il distacco è immediato attraverso la messa in scena di un personaggio così estremo. Spero che Leonardo riesca a mettere ancora più in luce le dinamiche della società e la falsità di alcuni atteggiamenti collettivi. Negli ultimi 5 -10 anni il genere del mockumentary e film che giocano con la verità e la finzione proliferano in tante forme. La satira è cambiata entrando in fenomeni globali e virali e quindi più vissuti, e non limitandosi alla caricatura, allo sketch, all’imitazione. Gli stessi social network mettono l’ironia al primo posto nel presentare un fatto, come se questa rappresentasse la naturale evoluzione di un linguaggio. Il web ci ha abituati a giocare molto con questo contesto “meta”, col trovare contraddizioni. Questo vale anche da un punto di vista stilistico: media e registri vengono mischiati sempre più frequentemente, dal linguaggio televisivo a quello cinematografico, a quello teatrale, allo sketch umoristico. L’approccio non è mai “cattivo” nei confronti di chi si rappresenta, o in alcun modo violento, ma si basa sempre sul paradosso. Come ne “Il Dittatore”, Sacha Baron Cohen può esporre i pregiudizi e le battute più antisemite o nonpolitically correct con l’onestà di un personaggio negativo, mostrando quindi l’altra faccia della medaglia, qui si vuole fare lo stesso, traendo ispirazione anche da film come Zelig di Woody Allen o dai Monty Python, portando in superficie la vera natura di un certo tipo di pensiero e la gravità di atteggiamenti realmente diffusi e in crescita in molti paesi. Atteggiamenti reali che nella loro ignoranza, miopia o assurdità comica spesso superano la finzione di questo film.