Personal Shopper
Drammatico | Francia | 2016 | 105 minPersonal Shopper. Ultimo film di Olivier Assayas vincitore della Palma d'Oro per la miglior regia al Festival di Cannes.
Maureen ha da poco perso il fratello Lewis per una disfunzione cardiaca congenita, da cui anche lei è affetta. Maureen è una medium e come tale cerca un contatto con l'aldilà per poter salutare definitivamente il fratello e riappacificarsi con la sua perdita. Maureen è anche una personal shopper, ovvero ha l'incarico di scegliere i vestiti ideali, con un budget stratosferico a disposizione, per una star esigente di nome Kyra. Finalmente Maureen sembra entrare in contatto con una presenza spettrale, ma non è sicura che si tratti di Lewis.
Il problema, se di problema si può parlare, che affligge le persone con un'intelligenza superiore alla media è quello di non poter rinunciare a cercare una spiegazione sulle cause o sugli effetti, dove i più arresterebbero la loro indagine, accontentandosi della via più breve. La stessa sindrome che affligge Olivier Assayas, instancabile indagatore di quel che sta dietro, o sopra.
Di quel che non si vede, ma che muove le cose. Assayas non si accontenta di verticalizzare l'approfondimento su un tema, deve necessariamente tracciare più connessioni intertestuali possibili tra questo e altri temi, portando la speculazione filosofica su lidi forse impensabili all'inizio del processo. Inutile dire che questo approccio, che spesso coincide con le opere dell'autore meno immediatamente fruibili e comprensibili per lo spettatore medio (Irma Vep, Boarding Gate), non trova grande riscontro presso il pubblico e la critica più generalista. Ma è proprio qui che si trova la natura profonda del cinema di Assayas, la medesima che anima un film accettato quasi unanimemente come un capolavoro come Sils Maria.
Perfetto esempio di tutte queste idiosincrasie, Personal Shopper è una profonda investigazione sulle origini della paura, sul bisogno di credere nell'aldilà, e su come relazionarsi con tutto ciò in una società crossmediale, che filtra le emozioni per poi amplificarle. In cui si attende un segno, ma in cui questo arriva via SMS e da uno sconosciuto.
Il regista francese riprende temi già affrontati in Sils Maria, di cui Personal Shopper rappresenta al contempo, una prosecuzione, un gemello introverso, un fantasma. Proprio quest'ultimo diviene l'ectoplasmatico e ingannevole fenotipo dell'opera: che procede come una ghost story, ne sfrutta i cliché e i calibrati colpi di scena, per poi raccontare tutt'altro. Con un indubbiamente voluto gioco di/sulle parole, la medium interpretata da Kristen Stewart diviene fulcro di un ragionamento sui media che caratterizzano la contemporaneità. Una parte consistente di Personal Shopper si svolge attraverso l'utilizzo di un iPhone, sia per la visualizzazione di video su YouTube che per un dialogo via chat, che attraversa le sequenze cruciali e thrilling del film come un'inseparabile (e invisibile) presenza. Come un fantasma.
La materia da comprimere e da rendere coerente, molteplice e complessa, diviene opera coesa solo grazie a un linguaggio filmico straordinario e a tratti sperimentale - la sequenza precognitiva in albergo - in cui una storia di tensione alla Brian De Palma - citato esplicitamente nelle vestizioni di Maureen, nel voyeurismo implicito, nell'uso del sonoro - con un pizzico di Kubrick e di Kurosawa Kiyoshi convive con una riflessione sulla solitudine da multimedialità e sul mutamento radicale vissuto nel nostro quotidiano. Il tutto proiettato - letteralmente, viste le scene di nudo parziale e l'indagine della macchina da presa sullo straordinario corpo cinematografico della Stewart - sulla pelle di una diva che vive (ma il processo era iniziato in Sils Maria) perennemente camminando sul filo invisibile sospeso tra pubblico, privato e sovraesposizione mediatica.