Se c’è un aldilà sono fottuto. Vita e cinema di Claudio Caligari. I tre film realizzati e i tanti che mai hanno visto la luce. I luoghi e le testimonianze di chi ha avuto la fortuna di lavorare con lui. Documentario sorprendente sul più grande maestro-outsider italiano, presentato a Venezia Classici – Non Fiction.
“Muoio come uno stronzo e ho fatto solo tre film”. È solamente una delle tante “frasi epiche” (ricordata da Valerio Mastandrea) di Claudio Caligari. Che torna in vita grazie a questo documentario, bellissimo e commovente, di Simone Isola e Fausto Trombetta.
Non si tratta però del solito, semplice “omaggio” a un cineasta che non c’è più. No, Se c’è un aldilà sono fottuto. Vita e cinema di Claudio Caligari è piuttosto compendio articolato e approfondito che porta in superficie la personalità e, soprattutto, le dinamiche di una cinematografia povera (nella quantità) ma ricchissima (nella forma e nei contenuti) di un regista unico e purtroppo tenuto sempre ai margini dalla nostra “industria”.
Solamente tre film realizzati nell’arco di una carriera lunga 40 anni, ma almeno una trentina i progetti rimasti nel cassetto (il più noto Anni rapaci, iniziato nel 2005 e mai terminato) Caligari – uomo di poche parole ma segnanti, solitario per indole ma messo in un angolo dalla miopia di molti – tra il 1976 e il 1978 ha firmato tre documentari (Perché droga, La follia della rivoluzione, La parte bassa) per esordire poi nel 1983 con il cinema “di finzione”, tornando con Amore tossico ad esplorare le tematiche del suo primo documentario.
Osservazione da antropologo, poetica pasoliniana, “adozione” ideologica da parte di Marco Ferreri, il cui contributo fu determinante affinché il film vedesse alla fine la luce, il regista di Arona (scosse la Mostra di Venezia e tutta la deriva dei benpensanti dell’epoca) da quel momento in poi avrebbe “potuto fare qualsiasi cosa”. E invece scomparve per altri 15 anni.
Qualsiasi sceneggiatura scrivesse veniva rispedita al mittente, poi nel 1998 grazie al coraggio produttivo di Marco Risi arriva L’odore della notte, altra fucilata sparata dritta nel petto dello spettatore, film liberamente ispirato al romanzo-verità Le notti di arancia meccanica di Dido Sacchettoni, con Valerio Mastandrea nei panni del borgataro Remo Guerra: poliziotto di giorno, di notte è al comando di una banda che depreda i ricchi romani, con minacce e violenza. “Un po’ di roba per me!”…
È da quel momento che nasce la liaison artistica tra Caligari e l’attore romano, che avrebbe portato poi al già citato e mai realizzato Anni rapaci e, altri dieci anni più tardi, a Non essere cattivo (2015), iniziato e terminato proprio grazie alla tenacia “produttiva” dello stesso Mastandrea (celebre la lettera aperta indirizzata a “Martino” Scorsese), con Caligari – già stremato nel fisico dalla malattia – coadiuvato e sostenuto fino all’ultimo affinché il film si completasse e arrivasse sugli schermi.
“Se io non ce la faccio, questo film lo devi firmare tu”, disse il regista a Mastandrea.
“Perché hai paura che se poi io lo finisco viene un film demmerda?”.
“Sì”.
Partendo proprio dalla lavorazione di Non essere cattivo (film che, tra le altre cose, ha contribuito a lanciare definitivamente due tra i nostri giovani attori più talentuosi, Luca Marinelli e Alessandro Borghi), il documentario di Isola e Trombetta (nato da unʹidea di Marco De Annuntiis, musicista e compositore di Ostia ma soprattutto appassionato del cinema di Claudio Caligari) ci porta – come da intenzioni già annunciate nel titolo – dentro la vita e dentro al cinema di Claudio Caligari.
Vita e cinema, che nella parabola umana di Caligari sono due elementi indissolubili. Più di 40 interviste, decine di ore di filmati backstage, oltre alle nuove riprese realizzate dai registi sulle location delle opere di Caligari, per un montaggio finale durato circa quattro mesi: il risultato è a tratti sorprendente, perché oltre alla forza – anche emotiva – di alcuni incredibili aneddoti (su tutti, Michela Mioni – tra i pochissimi superstiti di Amore tossico – che racconta il dietro le quinte della scena della rapina di Cesare e Massimo, spariti poco prima di entrare in scena perché caricati da una gazzella dei carabinieri che vedendoli armati e con il passamontagna calzato non hanno creduto al fatto che stessero girando un film) quello che si viene a creare è un quanto mai suggestivo puzzle tra le varie costanti narrative ed estetiche, ambientali e “ideologiche” presenti nella filmografia di Caligari.
Dalla goliardica autocitazione alla rotonda di Ostia con il “gelatino” (Amore tossico e Non essere cattivo) alla fine cristologica dei suoi protagonisti (da Cesare – Ferretti – a Cesare – Marinelli, passando per Remo – Mastandrea), ritorniamo con lo sguardo in luoghi, situazioni, dialoghi che – giocoforza – fanno ormai parte del nostro immaginario. Immaginario che è meno underground di quanto si possa pensare. E che, di fatto, contribuisce ad iscrivere il nome di Claudio Caligari nel novero dei più grandi registi di questo straordinario, maledetto paese.
[Valerio Sammarco per cinematografo.it]