PROGRAMMAZIONE CONCLUSA
Un film di Marta Bergman. Con Alina Serban, Tom Vermeir, Rebeca Anghel, Marie Denarnaud, Marian Samu.
Titolo originale Seule à mon mariage. Drammatico, durata 122 min, colore - Belgio, 2018 - Cineclub Internazionale.

Sola al mio matrimonio. Presentato nella sezione ACID al Festival di Cannes, ed è stato acclamato a numerosi festival internazionali, tra cui il Rome Independent Film Festival, dove ha ricevuto la Menzione Speciale della Giuria e il premio alla protagonista Alina Serban come miglior attrice.

Pamela, giovane Rom insolente, spontanea e piena di ironia, non assomiglia a nessun’altra ragazza della sua comunità. Vive con sua nonna e la sua bambina, ma sogna la libertà e mondi da esplorare. Rompendo con le tradizioni che la soffocano, parte alla volta dell’ignoto con tre sole parole di francese, un bagaglio e la speranza di un matrimonio in Belgio per cambiare il suo destino e quello di sua figlia, per essere finalmente una donna libera.

INTERVISTA CON LA REGISTA MARTA BERGMAN:

Sola al mio matrimonio è in continuità con i film documentari che ho realizzato in Romania e con alcuni personaggi che avevo raccontato e mi avevano colpito molto. Alla fine di “Clejani stories…”, girato nel villaggio di Taraf des Haidouks (gruppo musicale), una ragazza gitana prepara la valigia sotto lo sguardo indifferente dei genitori per andare in Germania a “far bere gli uomini nei bar”. La stessa sera, due altre giovani ragazze vanno a cercarla, a bordo di una macchina scura che parte nella notte…

Questa immagine finale mi ha dato il desiderio di scrivere la storia di una giovane donna che sogna di partire e cambiare il suo destino. Volevo che la mia storia prendesse la sua forza e la sua verità dal reale ma non volevo fare un film appiattito sulla realtà dei fatti.
Inoltre volevo rendere omaggio a una comunità complessa, indecifrabile, ricca di persone piene di talento e umorismo. Da tutte queste cose è nato il personaggio di Pamela.

I sopralluoghi mi hanno portato in diversi villaggi, in Transilvania e nei dintorni di Bucarest. Lì ho incontrato delle ragazze e dei ragazzi tra i 16 e i 20 anni. Ho domandato alle ragazze quali fossero i loro sogni e desideri più grandi e la maggior parte mi hanno risposto: studiare. Questo perché a 16 anni spesso le ragazze devono smettere di andare a scuola per rimanere a casa a occuparsi dei fratellini o nelle comunità rom più tradizionali, per sposarsi a 14 anni….L’altro desiderio ricorrente è partire alla scoperta del mondo! E poi non sposare un uomo che venga dalle loro parti. Questi incontri preziosi sono stati decisivi per delineare la traiettoria di Pamela.

Pamela sogna, si proietta in qualcosa di più grande, in un altrove. È ciò che la distingue dalle altre ragazze del villaggio. Tracciando il suo percorso, scopre l’amore che nutre per sua figlia e trova in sé stessa le risorse per allevarla da sola. Volevo un personaggio che lo
spettatore amasse per la sua audacia, la sua gioia di vivere e il suo desiderio di imparare. Inoltre ho voluto che il film trovasse la sua coerenza nel legame forte, che prosegue nonostante l’assenza, tra madre e figlia. Così come sua madre, Bébé fa parte di una tradizione di personaggi femminili che in diverse generazioni, fanno sentire con forza le loro voci. Il loro destino è alla base della storia che racconto.

La storia del film si inscrive nel contesto contemporaneo. L’Occidente e i suoi miraggi di una vita da sogno; nel villaggio di Pamela in ogni casupola c’è un’antenna parabolica aperta sul mondo. Le informazioni televisive che testimoniano della crisi economica del mondo occidentale e delle espulsioni dei migranti non cambiano la loro percezione. Non volevo però fare un film pietista e che bloccasse i personaggi in stereotipi.

Abbiamo lavorato con gli attori per evitare che cadessero nella trappola del cliché. Appena Alina Șerban è entrata nella stanza per fare il provino, non avevo dubbi che sarebbe stata Pamela. Indipendente, istintiva, esuberante, generosa, ha reso il personaggio pieno di
sfumature e complessità. Lo stesso sentimento mi ha spinto a voler lavorare con Tom Vermeir, un attore molto interessante, che ha dato molto al personaggio di Bruno.

Per me era molto importante rendere omaggio alla cultura Rom, una vera ricchezza dell’Europa. Abbiamo lavorato molto in questo senso, a livello della messa in scena, delle lingue parlate nel film (romeno, francese, romanì), dell’immagine (Jonathan Ricquebourg), del montaggio (Frédéric Fichefet) e della musica (Vlaicu Golcea).

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