Storie di cavalli e di uomini. A pensarci bene, esistono storie che prendono forma solo in luoghi situati ai confini del mondo. Come le highlands islandesi, sterminate lande brulle e austere, morsicate dal lungo e rigido inverno, lì dove ogni cosa, uomo e animale è intrappolato nel silenzio e il tempo sembra scorrere più lentamente del solito. Storie di cavalli e di uomini è una di queste: nasce come dedica del regista Benedikt Erlingsson a sua madre, si flette tenedosi ben salda a una manciata di personaggi, più animali che uomini, per esaurirsi spinta dall’inerzia di una lunga cavalcata, incurante del vento gelido che affetta la faccia e le mani.
Siamo in Islanda, come detto. Kolbeinn e Solveig provano una forte attrazione reciproca, ma sembrano frenati dalla timidezza e dal pudore immacolato di un luogo candido come la neve; Vernhardur è un uomo solo, che ama scolare fino all’ultima goccia di vodka e si inerpica in situazioni grottesche e pericolose pur di stringere tra le mani una bottiglia che riesca a scaldargli anima e corpo; Grimur ed Egill sono due vecchi uomini di mondo, tanto saggi, quanto cocciuti e attaccati a due differenti modi di approcciare la vita brada; Juan Camillo è uno straniero in un luogo isolato dal resto del mondo, ma non sembra farci caso e stravede per la giovane Johanna che, dal canto suo, scalza con audacia i pregiudizi maschilisti di una comunità concettualmente legata alla figura del maschio dominante. Tutti questi personaggi si amano, si odiano, sopravvivono e muoiono. Ma nessuno di loro è solo: ci sono i cavalli, bestie fiere e coraggiose, compagni di viaggio, di caccia, amati o abbandonati tra l’indifferenza dei mandriani.
Erlingsson conosce l’Islanda molto meglio di quanto cerchi di mostrare. Conosce le gelide e per lo più aride highlands, così come comprende alla perfezione il rapporto che lega l’uomo e l’animale; l’uomo dei lunghi inverni vive di dettagli, si affeziona alle piccole cose, o prova a evadere da una realtà monotona nella quale si sente prigioniero; l’uomo tratteggiato da Erlingsson vive in una comunità piccolissima, raccolta in una vallata, nella quale tutti si tengono d’occhio e nessuno dovrebbe custodire segreti; e i cavalli, araldi in libertà e spiriti selvaggi, osservatori silenziosi di un minuscolo universo sospeso tra sogno e realtà, testimoni di amori taciuti, dissidi, morti. Nei loro occhi si specchiano le preoccupazioni e le gioie dei mandriani oppressori, che li domano come se ne avessero diritto, ma che, alla fin fine, non potrebbero vivere senza di loro, connessi da un legame indissolubile, basato sull’istinto e un’empatia quasi primitiva.
Storie di uomini e cavalli è anche un film sulla crudeltà dell’uomo, irrispettoso tiranno convinto di riuscire a possedere un cavallo solo perchè è in grado di farlo, spingendo a volte la bestia verso scorribande scellerate (Vernhardur che conduce il proprio destriero in mare, per poter raggiungere un peschereccio per procurarsi un pò di alcool), o sacrificarne un esemplare per portare in salvo la propria vita, a seguito di decisioni imprudenti (Juan Camillo che uccide e sventra lo stremato animale per acciambellarvisi nella pancia, al riparo da una tempesta di neve).
Che se ne dica, Storie di cavalli e di uomini è un film schietto, scevro da retorica e sorretto unicamente da una regia sicura e curata, essenziale nel soffermarsi su dettagli estrapolati dai protagonisti equini (occhi-specchio, criniere accarezzate dalla gelida brezza, zoccoli che battono le sterili piane ghiaiose), amplificando quel sentore di tranquillità e pacatezza proprio del mondo animale, in forte contrapposizione con le tempeste emotive dei difettosi islandesi. Ma l’opera di Erlingsson assume sempre più il profilo di un’istantanea, o di un racconto lontano, un momento di quiete per meravigliarsi di come la vita (semplice, rurale) appaia incomprensibile agli occhi di chi non ne ha mai preso parte. Poi tutto svanisce, si scioglie come neve nei ruscelli e l’eco del trotto dei cavalli scema in un sibilo soffuso. Sono solo piccole storie. Cartoline dalla terra dei ghiacci.